“Adesso basta”, intervista a Simone Perotti

di / 21 settembre 2010

Adesso basta (Chiarelettere, 2009), giunto alla sua nona edizione, si è rivelato essere uno dei libri più dibattuti e stimolanti dello scorso anno. Ne parliamo con l’autore, Simone Perotti, al quale promettiamo sin da ora una futura intervista sull’ultima sua fatica, Uomini senza vento (Garzanti, 2010), presente da qualche giorno nelle librerie di tutta Italia.

Il suo libro è considerato l’unico manuale italiano interamente dedicato al fenomeno del downshifting. Che cosa, dunque, si intende tecnicamente, ma non solo, per downshifting?

Soprattutto credo sia stato il primo, ed è l’unico che non fa teoria ma racconta una storia vera. Per downshifting si intende rallentare il ritmo, rinunciare a qualcosa per avere più tempo e libertà. Io ho fatto una scelta più radicale, ma le gradazioni di questo cambiamento sono tantissime.

Più volte, nel suo libro, sostiene che il percorso del downshifter non è percorribile da tutti: volontà, sacrificio ed una particolare predisposizione alla costanza sembrano essere i requisiti indispensabili per intraprendere l’impresa. Chi sono i destinatari principali di Adesso basta?

Beh se ci pensa, è così per tutto, per la carriera, il matrimonio, l’artigianato, l’arte, lo sport. Nulla accade senza volontà, sacrificio e costanza. Figuriamoci ribellarsi al sistema del denaro, della carriera, del lavoro, dello schema borghese e capitalista. Quello ha venticinque tentacoli, altro che piovra. Non lascia andare via i fuggiaschi senza reagire. Dunque i destinatari sono tutti, soprattutto i 30-50enni, anche se ho avuto moltissimi lettori sotto o sopra questo intervallo ideale. E’ rivolto a tutti quelli che patiscono la vita com’è oggi, quella che sembra ineluttabile vivere. La mia testimonianza è la dimostrazione che si può vivere diversamente senza essere ricchi di famiglia, avere proprietà, vincite milionarie o eredità.

Ciò che traspare a più riprese tra le pagine di Adesso basta  è l’idea di una schiavitù del lavoro che la maggioranza degli individui si autoimpone e accetta pur di potersi concedere un benessere economico che, ahimè, raramente coincide con un benessere interiore, reale. Che cosa, secondo Lei, tiene ancora in piedi questa illusione?

Come tutte le illusioni, noi crediamo che sia vera fino a che non ci svegliamo dal torpore, fino a che qualcuno non accende le luci in sala e capiamo che era un film. Accade anche nell’amore, se ci pensa, o in famiglia, dove spesso pensiamo cose diverse dalla realtà. Lo sforzo che possiamo fare è proprio questo, cercare di vedere le cose per come sono, in modo chiaro e spietato. Ad esempio: io faccio fatica, lavoro come un negro; questo mi serve per stare bene, per essere sereno? Se sì, ottima notizia, giù a lavorare. Se no ci si ferma e si pensa cosa non va. La nostra cultura è figlia della provvidenza e della malora (due cose che non esistono), siamo troppo poco razionalisti, per nulla empiristi, mentre l’unica cosa che conta, che è sotto i nostri occhi, è la realtà, cioè le cose come stanno. Sto bene? Allora avanti tutta. Sto male, allora fermi tutti. Non è così difficile.

Adesso basta, oltre a fornire al lettore consigli pratici su come iniziare e portare a compimento il downshifting, offre dei veri e propri spunti di riflessione sulla vita e sulla società in cui viviamo che spesso toccano picchi di rara lucidità. Particolarmente affascinante è l’utopistica proposta con cui conclude il suo libro: creare una specie di “kibbutz moderno” dove ricreare una sorta di democrazia locale, in alternativa alla solitudine e all’alienazione della società contemporanea. Come si può convincere le persone che una condotta di vita alternativa è possibile?

Beh, la generazione degli attuali quarantenni non avrà la pensione, molti di noi invecchieranno senza figli, il lavoro è entrato nella sua crisi più feroce… se non ci rendiamo conto di queste cose e dunque del fatto che servono nuove idee per risolvere nuovi problemi, che nessuna generazione prima di noi ha avuto, e che occorre che le idee ce le facciamo venire noi, ognuno per sé, e rapidamente… Oltre questa evidenza della necessità di fare economie di scala, di vivere più sobriamente, cercando l’autenticità, non so cosa serva per capire che bisogna cambiare. Ripeto, io penso si debba cambiare. Ma se uno è autenticamente felice vivendo la sua vita attuale, in questo mondo, allora va bene, deve proseguire.

Lei spesso, nel suo libro, fa riferimento e cita aforismi, sentenze e riflessioni che sicuramente l’hanno aiutata in questo lungo processo che ha richiesto alcuni anni di preparazione psicologica e non solo. Senza nulla togliere alla sua personale volontà primaria di un cambiamento, quali libri e quali autori hanno avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del suo ragionamento?

L’Odissea, per l’idea che l’uomo può fronteggiare il suo destino con coraggio. Tutta l’opera di Seneca, perché aveva già capito tutto duemila anni fa, basta leggere leLettere a Lucilio e il De Brevitate Vitae. Molti romanzi di Italo Calvino, perché è l’unico che ha scritto una letteratura lucida, logica, intelligente, razionale, e non per questo priva di sentimento e d’emozione. Solo intorno al Mondo di Joshua Slocum, la bibbia dei marinai. Bisogno di Libertà di Bjorn Larsson. Ma sarebbe lunghissimo l’elenco…

Per concludere la nostra intervista ritengo sia necessaria una domanda che la riguarda più nel personale: Come vive oggi Simone Perotti? Pensa di potersi definire un uomo libero e felice?

Io somiglio molto più di ieri all’idea che avevo di me. Io questa la chiamo una buona via verso l’autenticità. Occorre tentare disperatamente, gioiosamente ma combattivamente a somigliare all’uomo che abbiamo in testa. Se non riusciamo a somigliare a quell’immagine, che ci accompagna da tutta la vita, non saremo mai sereni e in armonia. Tentare di farlo è già moltissimo. Tentare e vedersi fallire, ma tentare ancora… dà senso alla nostra vita. Fallire per non aver tentato è come essere già morti. E io mi sento vivo.

Grazie e in bocca al lupo per il suo ultimo libro, Uomini senza vento.

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