“La versione di Barney” di Mordecai Richler

di / 21 ottobre 2010

La versione di Barney, acuto e divertente romanzo pubblicato nel 1997 dallo scrittore ebreo-canadese Mordecai Richler, ci mostra quanto può essere meravigliosamente sfacciato, oltre che scomodo e a tratti anche commovente l’umorismo yiddish.

Con uno stile comico che ricorda un po’ un altro capolavoro di umorismo israelitico, ossia la raccolta di racconti Per alleviare insopportabili impulsi di Nathan Englander, e che si avvicina anche alla sceneggiatura di Come diventare ebreo in 7 giorni e alla vita folle e dissipata del suo protagonista Jacob Zuckermann, Richler racconta la storia di Barney Panofsy, un canadese di origine israeliane, storia che gira attorno ai suoi tre matrimoni e alla morte mai chiarita dell’amante della sua seconda moglie.

Lo stile è assai variegato, con una capacità descrittiva notevole ed evocativa (soprattutto nella prima parte) ma il libro ha una caratteristica fondamentale come denominatore comune a tutte le sue pagine: l’incapacità assoluta del suo protagonista di essere politicamente corretto. Con un lavoro che è l’immagine stessa del successo edonistico (è un ricco e affermato produttore televisivo nel periodo tra gli anni ’60 e gli anni ’80), Barney Panofsky mostra un allegro e quasi genetico menefreghismo nei confronti della vita e dei suoi maremoti (affronta con disinvoltura due divorzi e combatte ridendo contro la sua parabola discendente che culminerà nell’accettazione del morbo di Alzheimer) e soprattutto ha sempre una risposta pronta per ogni domanda e ogni attacco che gli viene rivolto. Appaiono spassosi, a questo proposito, certi dialoghi con i suoi colleghi di produzione o con i suoi futuri suoceri, dialoghi in cui Barney riesce sempre a rivoltare la cosiddetta frittata, portando il suo antagonista ad assumere il ruolo di chi se la canta e se la suona e costringendo alla fine il lettore a innamorarsi inevitabilmente della sua indifferenza attiva.

Il romanzo è scandito secondo tre grandi capitoli che corrispondono ai tre matrimoni del protagonista e che ogni tanto si intersecano tra loro, con un’abilità letteraria che ricorda le sceneggiature cinematografiche di Gabriel Inarritu (vedi Babel e 21 grammi) ed è inoltre segnato dai dialoghi di Barney con i suoi pensieri reconditi e dai suoi ricordi maniacali dei risultati delle partite di hockey su ghiaccio, sport di cui è letteralmente patito.

Insomma, La versione di Barney è la storia di un uomo che a vissuto à la carte, per usare le parole del protagonista, con apparente distacco ma anche con cinico calcolo. E sarà lo stesso cinismo che rivolgerà verso se stesso negli ultimi scampoli del libro in cui prenderà coscienza del suo Alzheimer, un nuovo nemico da uccidere con la sottile arma dell’indifferenza comica. Un’arma che a Barney Panofsky non manca di certo.


(Mordecai Richler, La versione di Barney, trad. di Matteo Codignola, Adelphi, 2005, pp. 490, euro 12)

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