0.2/ Cliff

di / 25 ottobre 2010

You have been dying since the day you were born
You know it has all been planned

The Four Horsemen – Metallica

 

Seduta sul divanetto, mentre l’autista stava preparando le ultime cose per la partenza, osservavo i ragazzi distrutti dal concerto. Ripensavo al pubblico che si muoveva come un corpo solo, con tutte quelle teste piene di capelli lunghissimi che roteavano su e giù, contemporaneamente. Fu un concerto incredibile dove Cliff si esibì in un solo di basso magnifico. Per una sera, Stoccolma andò a fuoco. Sentivo ancora le vibrazioni scorrere lungo tutto il mio corpo.
“Fanculo Kirk, ho vinto di nuovo. Il letto è mio!”
Cliff e Kirk avevano deciso di giocarsi, a carte, il posto in alto del letto a castello, accanto al finestrino. Dopo una lunga partita, Cliff, più lucido di Kirk, aveva vinto. Il premio era tutto per lui.
I miei occhi seguirono Cliff: felice come un bambino si alzò dalla sedia, corse verso il letto e ci si buttò sopra a peso morto. Dopo aver sentito il tonfo, girai istintivamente lo sguardo verso l’autista mentre gettava una birra nel cestino, imitando i movimenti di un giocatore di basket. Esultò come se avesse segnato il canestro più importante della sua carriera.
In quel momento la porta del bagno si aprì e Sandy si diresse verso di me.
“Potresti prestarmi un’assorbente? Ho finito i miei”, mi chiese.
“Certo”, le risposi.
“Ah, senti – disse. – Mi sa che stasera sarai sola, io passo. Mi dispiace ma non ce la faccio, sono distrutta.”
“Ok, tanto non penso che vorranno fare chissà cosa, guarda come sta James.”
“Ma è vivo?”
“Prima russava”, dissi sorridendo.
Ci fu un momento di silenzio che fu spezzato dalla voce di Sandy.
“Senti, l’assorbente? Scusa ma sai …”
“Ah, sì. Aspetta.”
Frugai nella borsetta e ne trovai uno.
“Ecco.”
“Grazie.”
Dopo aver afferrato l’assorbente, Sandy tornò in bagno.
Kirk, completamente ubriaco, facendo finta di essere triste per aver perso la sfida, si gettò ai miei piedi, leccandoli.
“Lascia stare Kirk, sei strafatto. Mi fai schifo quando stai così, lo sai.” Emanava una puzza nauseante che mi fece ribaltare lo stomaco. Decisi allora, dopo aver scansato quella testa riccioluta con il piede oramai pieno di bava, di aprire il finestrino. Da fuori, il vento freddo della Svezia entrò senza chiedere il permesso, avvolgendomi del tutto.
“Fanculo, puttana”, mi disse Kirk.
“Vai a dormire, stronzo”, risposi.
Kirk si alzò, mugugnò qualcosa e si buttò sul letto, sotto a quello di Cliff che, in quel momento, stava fumando una sigaretta. James prese una birra dal frigo mentre Lars sbatteva il pugno contro la porta del bagno, sempre più forte, come se volesse distruggerla. L’autobus partì.
“Sai” disse Cliff, rivolgendosi a me “Sei una delle ragazze più belle che io abbia mai conosciuto.”
“Non dire stronzate Cliff”, risi: ”Io potrei dirti che sei il miglior bassista con cui io abbia mai parlato, ma penso che non sia la stessa cosa.”
“Complimento bellissimo, piccola.”
Mi avvicinai al suo letto, stavo per baciarlo quando lui mi bloccò.
“No piccola. Grazie mille lo stesso, come se l’avessimo fatto. Ora ho voglia di stare qui, guardare il paesaggio dal finestrino e, magari, se ti va, chiacchierare con te.”
“Come vuoi, Cliffy.”
Si addormentò mentre mi raccontava della sua prima band.
Dal bagno uscì Sandy, visibilmente contratta. Si mise accanto a me e mi abbracciò.
“Ehi, che fai dolcezza? Piangi? Cosa c’è?”
“Niente, niente. Sono solo stanca.”
“Sicura?”
“Sicura, voglio solo abbracciarti.”
La strinsi forte tra le braccia. Pochi minuti dopo dormiva.
Il pullman viaggiava velocemente sulle strade svedesi. Il clima era rigido, il cielo di un nero che non avevo mai visto in tutta la mia vita e il paesaggio, da una parte e dall’altra, offriva alberi e piccole case di legno, tutte uguali, come se qualcuno avesse impostato uno sfondo che andava ripetendosi in continuazione.
James si svegliò e si alzò con fatica dal letto; dopo aver tentato più volte di poggiare i piedi a terra riuscì a tirarsi su. Una volta trovato l’equilibrio, passò accanto a me grattandosi il sedere e, con la stessa mano, mi accarezzò una guancia.
“Che schifo James!” Dissi agitando la mano come se dovessi pulirmi il viso da una macchia di sporco.
“Scusami piccola – mi disse mangiandosi le parole – ma non riesco proprio a resisterti.”
Gli diedi un calcio sul sedere mentre prendeva un’altra birra dal frigo.
“Se lo fai un’altra volta, ti ammazzo!”
“Va bene, va bene. Non lo farò mai più!” Disse ridendo. Si gettò sul letto e riprese a bere.
Passarono diverse ore nelle quali cercai di addormentarmi. Ogni volta che il sonno prendeva il sopravvento su di me, una buca o una sterzata facevano rimbalzare la mia testa, destandomi dal torpore.
La velocità del pullman aumentava, un po’ alla volta.
Sandy dormiva vicino a me e il suo viso, attraverso l’espressione che aveva assunto, mi fece pensare, non so perché, al Natale passato con la sua famiglia. Alle lucine che avevamo comprato noi due al negozio cinese. Ai piatti di carta con scritto in rosso “Buon Natale e Felice Anno Nuovo”. Alla cena. Ai bicchieri di vetro. Al momento in cui inciampò e, attaccandosi alla tovaglia, ne fece cadere quattro. Al litigio con il padre. Alla porta che sbatteva ed io che la inseguivo scusandomi, dicendo che ci avrei pensato da sola. Alla prima volta che mi parlò realmente del suo rapporto con il padre. Alle sue lacrime.
Il pullman sterzò bruscamente ed io riemersi dai miei ricordi. Nessuno era in grado di alzarsi, così mi diressi verso l’autista chiedendogli di andare più piano. La sua testa calva era piena di sudore che scendeva prima sulla faccia e poi sul collo, bagnando quindi il colletto della camicia e poi tutto il resto.
"Zitta, zoccola”, rispose.
“Cosa cazzo hai detto?”
“Zitta, io sono l’autista e io decido come guidare. Mettiti seduta e non rompere i coglioni. Vai a fare i pompini!”
Cercai aiuto da parte degli altri, tuttavia nessuno sembrava rendersi conto di ciò che stava accadendo: James era sdraiato sul divano; Lars era in bagno da una vita; Cliff dormiva; Kirk stava sguazzando nel proprio vomito; Sandy parlava nel sonno.
Mentre un cartello stradale indicava “Ljungby”, l’autista accelerò vertiginosamente.
“Cosa sta succedendo? Cosa cazzo sta facendo questo qua?” Sandy si era svegliata e ora fissava con gli occhi sbarrati la strada.
“Non lo so, è pazzo. James! Kirk! Lars! Cliff! Qualcuno si svegli e vada a dire a quella testa di cazzo di fermarsi!”
James, lentamente, con la barba intrisa di birra si alzò, ma subito dopo aver emesso uno strano suono dalla bocca, crollò a terra.
Nessuno dava alcun segno di vita. Mi alzai e corsi barcollando al posto di guida.
“Stronzo! Fermati, cazzo! Fermati! Fermati!”
Afferrai il volante. Cercai di tirarlo in direzione opposta a quella dell’autista. “Vai via, puttana! Non mi rompere il cazzo”, disse urlando e sbavando. “Via! Via!” E mi diede un calcio sul ginocchio.
“Cazzo! Vaffanculo!” Urlai, piegando la gamba “Frena! Cosa cazzo stai facendo?”. Mi scaraventò a terra ma mi rialzai subito, come una molla. Il mio corpo era pieno di adrenalina. “Vuoi ucciderci?” urlai ancora più forte di prima.
“Devi morire, zoccoletta!”, disse con un sorriso mefistofelico. Era completamente ubriaco.
Con il corpo provai invano a spostare quell’omone calvo ma riuscii solamente a farlo imbufalire ancora di più.
Ero disperata, non sapevo cosa fare. Stavo per crollare. Il tempo iniziava a dilatarsi.
“Stronzo, fermati!” Disse James da dietro le mie spalle: mi scansò come se fossi un manichino e tirò un pugno sui denti dell’autista, il quale, dopo aver bestemmiato, sputò i due incisivi sulla mano, in una pozza di sangue.
“Pezzo di merda, ti rompo il culo!” Gridò e, come una bestia feroce, si gettò sul collo di James urtando il volante: il pullman sbandò finendo fuori strada, ribaltandosi. Il rumore delle cose che andavano ad ammassarsi tutte da una parte, l’impatto con il terreno e il seguente stridio delle lamiere generarono un suono che non scorderò mai.
Per un istante fu come trovarsi in assenza di gravità.
Dopo aver sbattuto con la schiena sulla custodia di una chitarra e la testa sul tetto, roteai in aria sbattendo la faccia su uno spigolo. L’autobus si fermò.
Passarono alcuni minuti in cui una serie d’immagine sfocate si susseguirono nella mia mente. Immagini piene di colori, immagini che non riuscivo a collegare a nulla.
Finalmente riaprii gli occhi e, dopo aver capito di trovarmi sotto un cumulo di oggetti, mentre la testa pulsava come un tamburo durante una decapitazione, due mani mi afferrarono riuscendo a tirarmi fuori da quella situazione. Erano le mani di James. Avevo il corpo a pezzi ma riuscivo a stare in piedi.
“Sandy”, dissi appena la vidi.
“Amore!” Mi disse facendosi largo tra le cose. Piangeva.
“Ti esce del sangue dalla testa, come stai?”
“Mi fa male la testa ma sto bene. Tu come stai?”
Sandy mi stava abbracciando e mi stringeva forte, premendo il viso sul mio seno.
“Io sto bene”, risposi.
“Ragazze, svegliamo gli altri – disse James. – Dobbiamo uscire”. Poi, riferendosi all’autista, aggiunse: “Appena siamo fuori, ti ammazzo definitivamente!”
Dopo che tutti gli altri si svegliarono, uscimmo dal pullman.
Il sole stava facendo capolino da dietro delle colline, gettando dei fasci di luce sull’erba attorno al pullman.
Per strada non c’era nessuno. Automobili, uomini, animali. Nulla.
Controllai che fossimo al completo. Mancava qualcosa. Mi girai verso James: il suo viso aveva assunto una forma che non avevo mai visto prima, neanche mentre gridava sul palco. Guardava in un punto indefinito di fronte a lui. Improvvisamente iniziò a correre. Fece il giro del pullman e si bloccò: emanava una forza sovrumana.
Tutti insieme lo seguimmo.
Appena ci trovammo dall’altra parte, fu come se un fulmine ci avesse colpito in pieno, carbonizzandoci. Ci fermammo dietro a James, contemporaneamente.
Sandy corse verso di me e iniziò a piangere. La strinsi forte cercando di bloccare la marea che stava per inondare la mia faccia. Non ce la feci. Le lacrime sgorgavano come un mare di lame affilate, facendomi a pezzi.
James, come una furia, corse verso quelle due gambe che uscivano dalle lamiere e le afferrò, cercando di tirare fuori il corpo di Cliff. Provò con tutte le forze ad alzare il pullman, da solo. La faccia, rossa come i suoi occhi iniettati di sangue, era completamente deformata. Le vene del collo, grandi come dei fiumi in piena, stavano per esplodere. Dagli occhi iniziarono a scorrere delle lacrime. Stava singhiozzando. Aveva capito che non c’era nulla da fare. Prese a pugni il pullman fino a farsi sanguinare le mani. Disperato, si buttò sulle gambe di Cliff, le strinse a sé, alzò la testa e gridò, squarciando il cielo svedese.

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