0.4/ Bitter Home Baton Rouge

di / 22 novembre 2010

If I leave here tomorrow
Would you still remember me?
Free Bird – Lynyrd Skynyrd


Il rumore dei piedi che sbattevano sulla scaletta, come fosse quello di una marcia militare, scandiva la nostra breve salita verso l’entrata del Corvair 240. Dietro di me, Sandy camminava a testa bassa con i suoi capelli ricci, il suo impermeabile blu e una valigetta attaccata alla mano sinistra. Ogni tanto lasciava la presa e pizzicava le mie gambe tirandomi le calze; mentre mi giravo per dirle di stare ferma, lei già stava ridendo con la mano sulla bocca. Davanti a me Ronnie, con la giacca di pelle e i capelli biondi che uscivano dal suo cappello marrone, che non camminava tenendosi all’asta verniciata di bianco come tutti noi bensì spostandosi da una parte all’altra, zigzagando.
L’aereo sapeva di muffa. L’hostess aveva una divisa blu e ripeteva continuamente buongiorno signore. Di fronte a noi, un lungo corridoio con una moquette grigia divideva a destra e a sinistra due file di sedili che sembravano delle poltroncine. Guardando il corridoio orizzontalmente, ogni fila, avanti e dietro, era occupata da un solo sedile e non da due come nella maggior parte degli aerei in cui avevo viaggiato in precedenza.
Ronnie e Allen avevano messo le valige negli appositi scompartimenti sopra le loro teste e si erano tuffati sul sedile. Ora erano seduti con le gambe distese.
«Venite qua bellezze», Ronnie si era alzato e aveva indicato due posti fingendo di essere un maggiordomo.
«Certamente», risposi strizzandogli l’occhio.
Ronnie e Allen ci aiutarono a mettere le valige a posto e subito dopo ci sedemmo. Dopo averli ringraziati, tolsi l’impermeabile e guardai dal finestrino che avevo alla mia destra e vidi lo stesso terreno di prima con le stesse chiazze. Un po’ di malinconia si fece spazio tra lo stomaco e la gola.
«Sei triste dolcezza? Non ti è piaciuto il concerto di ieri?» Disse Ronnie dopo essersi girato verso di me.
«Ma no, siete stati grandissimi. Ho pianto con FreeBird», sorrisi, «sono solo un po’ stanca e poi questo posto mi piaceva. Mi ricorda dove sono nata. Mi sarebbe piaciuto passarci qualche altro giorno».
Ronnie sorrise e guardò insieme con me il paesaggio che ci offriva il finestrino.
«Magari dopo, se ti va, potrei provare a farti sorridere un po’», disse Ronnie mentre si toglieva il cappello, liberando così un lungo ciuffo di capelli dorati che ora gli copriva un sorrisetto malizioso.
«Perché no», risposi spostandogli il ciuffo indietro.
Le nostre voci andavano a mescolarsi con la confusione che nel frattempo si era formata all’interno del Corvair, mentre il resto del gruppo era entrato. Billy e Gary erano seduti alla mia sinistra e ridevano; Leon e Bob stavano dietro Allen e facevano un gran baccano tentando di appendere la bandiera sudista al soffitto; Steve stava passando accanto a noi con i ricci che gli sfioravano le spalle e dietro di lui sua sorella, Cassie, che con un’occhiata mi fulminò. Dall’inizio del tour mi stava facendo capire che qualcosa di me non le piaceva, usando gran parte del suo sarcasmo per fare battutine nei mie confronti.
«Perché quella stronza di Cassie ce l’ha con me?». Chiesi a Ronnie.
«Non c’e l’ha con te, ha solo una paura incredibile di volare», mi rispose. «È nervosa. Pensa che aveva proposto di andare da sola a Baton Rouge con un pullman pur di non partire con noi, dicendo che avrebbe portato con sé la strumentazione. Alla fine sono riuscito a convincerla a venire con noi ma è stata dura».
« Quella stronza mi odia. Avresti fatto meglio a farla andare da sola con il pullman».
« Magari è solo invidiosa di non essere bella come te», disse Ronnie guardandomi la scollatura.
«Chi lo sa, forse,» ricambiai il suo sorriso malizioso, «la cosa di cui sono quasi sicura è che dopo ti farò sorridere un po’ anch’io», dissi ricambiando il sorriso malizioso.
Stavo accarezzando la spalla di Ronnie quando Dean, un ragazzo quasi scheletrico con gli occhiali poggiati su un naso enorme, entrò, posò la sua roba sulla poltroncina di fronte a quella di Ronnie e si mise in piedi all’inizio del corridoio, cercando di attirare la nostra attenzione. Dean era il manager del gruppo.
«Ragazzi, ascoltatemi un secondo», disse mettendosi l’indice sopra la bocca. «Tra qualche minuto partiamo. Ragazzi, un secondo per piacere». Nessuno sembravano dargli retta.
«Ragazzi, un secondo», disse con un tono di voce quasi isterico. Dopo qualche istante, ebbe l’attenzione che desiderava.
«Grazie mille. Vi rubo solo un secondo per dirvi due cose. La prima: ancora tanti complimenti per il nuovo album», tutti i componenti del gruppo si scambiarono occhiate entusiaste e qualcuno in fondo applaudì. «La seconda è che al concerto di Baton Rouge – lo sapete dove suonate, no?» Disse ridendo. «Al concerto di Baton Rouge, dicevo, dovrete suonare al massimo, ancora meglio di ieri».
«Ogni volta che suoniamo, suoniamo meglio della volta precedente, Dean», gridò Leon togliendosi gli occhiali dopo aver finalmente appeso la bandiera sudista al soffitto.
Un urlo che ricordava vagamente un sì fu gridato all’unisono e si levò all’interno dell’aereo, e insieme a esso molte braccia furono alzate in aria a mo’ di approvazione. Gary e Bob applaudirono.
Dean sorrise. «Volete sapere veramente perché dovrete dare il massimo?»
«Sì!». Urlammo tutti quanti assieme.
«Perché Baton Rouge, udite udite, è il posto in cui sono nato!».
Ci fu un attimo di silenzio che fu spazzato via da Ronnie che disse scherzando: «Ma vaffanculo Dean».
Tutti quanti scoppiammo a ridere, Lean si piegò dalle risate e inciampò andando a sbattere contro Bill. Le risate aumentarono vertiginosamente, fino a quando le casse non sputarono la voce del pilota, Walter McCreary, che ci comunicò il nome del co-pilota, William Gray, che il tempo a Baton Rouge era buono e che saremmo partiti a momenti.
Durante il decollo, attaccai le mani ai braccioli dei sedili ed ebbi la sensazione che qualcosa, partendo dalla bocca, correndo lungo l’esofago, andò a depositarsi con violenza nel mio stomaco.
Dopo aver girato a destra e sinistra, posizionandosi più volte in maniera secondo me innaturale, l’aereo, finalmente, si stabilizzò raggiungendo la velocità di crociera.
Mi rilassai e chiesi a Ronnie una birra. Si diresse verso il frigo bar e tornò con due bottiglie in mano.
Lo ringraziai e iniziammo a parlare dei Lynyrd Skynyrd e, in generale, delle sue canzoni. Mi disse che stava iniziando a non sopportare più il fatto che ovunque andasse non faceva altro che ascoltare Sweet Home Alabama,nonostante fossero passati più di tre anni dall’uscita di Second Helping. Diceva che in qualsiasi posto si trovasse, la radio la trasmetteva. Gli dissi che non gli credevo e che invece gli piaceva ascoltare la sua canzone ovunque. Gli dissi che diceva così solo per fare colpo su di me. Ridemmo.
Continuammo a parlare per più di mezz’ora alludendo di tanto in tanto ai nostri appetiti carnali. Mentre parlavamo, le nostre mani si sfioravano. Poi le sue mani accarezzarono le mie cosce e le mie fecero lo stesso sulle sue. Mi guardava negli occhi, si avvicinava e sussurrava al mio orecchio parole che mi eccitavano. La sua barba, ispida sulle mie guance, mi faceva vibrare all’altezza del ventre.
«Senti – mi disse a un certo punto, finalmente in maniera esplicita –. Che ne diresti quindi di una torbida concupiscenza carnale? Magari lì?» E indicò il bagno.
«Torbida concupiscenza carnale? Perché no, mi piace vedere le cose da questa prospettiva», risposi mordendomi le labbra.
Ci alzammo in piedi e ci dirigemmo verso il bagno. Qualcuno alle nostre spalle lanciò un grido. Sandy, mentre passavo accanto a lei, mi fece l’occhiolino ed io ricambiai. Allen diede una pacca sulle spalle di Ronnie. Cassie, invece, fece finta di nulla e continuò a mettersi lo smalto sulle unghie.
Appena entrati in bagno, una voglia incontenibile mi assalì. Presi la sua giacca e la gettai a terra. Iniziai a baciarlo sul collo mentre lui con le mani mi sbottonava la camicia. La prese e la tirò nel lavandino che stava dietro di me. A quel punto iniziai a sbottonare la sua camicia e vidi un boschetto di peli biondastri che uscivano dalla canottiera bianca. Mi slacciò il reggiseno. Le mie gambe vibravano e sentivo le mutandine inumidirsi. Mentre mi baciava, Ronnie mi annusava dicendo che avevo un profumo meraviglioso. A quel punto mi afferrò per i fianchi, mi alzò da terra e mi sbatté contro il muro che fino a un istante prima si trovava dietro di lui. Un po’ di cose cascarono a terra. Nel momento in cui la mia schiena nuda andava a scontrarsi contro quel muro freddo, un forte scossone ci fece perdere l’equilibrio. Ci trovammo uno sopra l’altro.
«Cazzo, non pensavo di esser stato così violento», disse Ronnie.
«Non credo che …». Non riuscii a terminare la frase che uno scossone ancora più forte del primo fece tremare le pareti e tutto quello che si trovava sopra una specie di comodino, si riversò addosso a noi. Ronnie bestemmiò perché un oggetto acuminato lo colpì sulla gamba.
Qualcuno bussò alla porta con una tale forza che mi sembrò che lo stesse facendo dentro la mia testa. «Aprite la porta, dovete uscire immediatamente e mettervi ai vostri posti», disse la voce. «Aprite la porta!» L’hostess continuava a colpire la porta gridando. Ci alzammo con molta difficoltà, anche perché un terzo scossone ci fece sobbalzare. Sembrava fosse esplosa una bomba. Riuscimmo ad aprire la porta. Nella confusione, afferrai il reggiseno e uscimmo dal bagno.
L’hostess si reggeva al muro cercando di stare in piedi ma i suoi piedi scivolavano. Sembrava stesse su un tapis roulant che correva velocissimo. Sopra la sua testa non c’era più il cappellino che indossava mentre ci aveva accolti all’entrata. Ora dei liscissimi capelli di un nero lucente cascavano sopra l’uniforme blu. Aveva un’espressione così buffa e, nonostante la situazione, pensai che fosse una ragazza bellissima. «Mettetevi seduti, presto!» gridò indicandoci i sedili.
Ancora non capivo realmente cosa stesse accadendo ma, appena i miei occhi inquadrarono la scena che avevo di fronte, il sangue si raggelò e provai una nausea fortissima. Sopra ogni sedile, sopra ogni testa, pendevano dei tubicini a cui erano attaccate delle cose arancioni che ognuno teneva con le mani sopra la propria bocca.
Prima di raggiungere la mia postazione, andai a sbattere a destra e a sinistra. La testa mi stava per scoppiare e provai un dolore fortissimo alle orecchie. Iniziai a respirare con difficoltà. In quel momento sentii tirare le calze, ma questa volta non era uno scherzo. Girai la testa e vidi Sandy che mi guardava con occhi colmi di terrore da cui stavano scivolando delle lacrime piene di paura che bagnavano la mascherina arancione. Cercai disperatamente di abbracciarla ma Ronnie mi afferrò e mi fece sedere al mio posto.
Afferrai quei tubi che mi sembravano le viscere dell’aereo e misi sulla bocca la mascherina. Inspirai velocemente. Misi la cintura di sicurezza. Respiravo meglio. Guardai attorno a me e riuscii a vedere Billy e Leon che pregavano. Anche Gary pregava. La bandiera sudista si era staccata dal soffitto ed era finita sopra la moquette grigia. Incrociai lo sguardo di Cassie. Vidi degli occhi supplichevoli. I capelli di Ronnie, di fronte a me, ondeggiavano da una parte all’altra. L’aereo tremava. Le pareti sembravano sul punto di esplodere da un momento all’altro. La luce andava e veniva, come il neon di un negozietto nei bassifondi di una metropoli.
Una mano afferrò la mia. Era quella di Sandy. La guardai, il suo viso era stretto in un’espressione che sembrava dirmi «Sei stata la mia migliore amica», o almeno era quello che avrei voluto dirle io. Strinsi forte.
Tutto quello che era caduto dagli scompartimenti, ora stava scivolando lungo il corridoio verso l’abitacolo: la mia borsa marrone aperta, il trolley verde rinforzato di Sandy, una scarpa da donna con il tacco, il libro che stavo leggendo in quei giorni, quasi tutti i miei vestiti, il cappello di Ronnie, uno smalto per le unghie.
Guardai dal finestrino e vidi l’ala che questa volta aveva assunto davvero una posizione innaturale. Un cielo nero dove la luna si nascondeva dietro un banco di nuvole, come se avesse avuto paura di guardarci mentre precipitavamo. Se mi fossi sforzata, avrei potuto vedere le cose sotto di noi che diventavano sempre più grandi.
Capii che non c’era nulla da fare e mentre prendevo coscienza della mia morte, una lacrima mi scivolò lungo la guancia sinistra e cadde sulla mia mano e quella di Sandy che si stavano stringendo e che si erano fuse in una cosa sola.
In quel momento svenni. Il mio corpo si trasformò in una meteora incandescente che stava per schiantarsi al suolo.  Durante quei pochi minuti che scorrevano lentamente come potrebbe scorrere un’era geologica, tutte le immagini che passarono nella mia testa erano accompagnate dalle note della canzone che il giorno prima mi fece piangere, Free Bird.
Da lì in poi non ricordo più nulla, se non le luci dell’ospedale e il rumore dei lettini. Sandy ed io ci salvammo per miracolo. Per Ronnie Van Zant, per Steve e Cassie Gaines, per Dean Kilpartick, per il pilota Walter McCreary e per il co-pilota William Gray, non ci fu niente da fare.

 

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