Capita che ti chiedano un favore. Capita che tu ti chieda, a tua volta, “A che pro?”. Fatica gratis non se ne fa, è la prima legge dell’antipadulo (abolita la Leva? sparito il gergo: cerca su Google, lettore mio imbelle, cerca su Google…).
Ma lo fai. Alla fine lo fai, perché gli (le?!) vuoi bene, alla collega pazza. E tanto: le vuoi bene proprio perché è pazza, faticosa e affettuosa. È una rosa piena di spine, e le spine ti fregano. Ti legano, ti vincolano. Ti v-inculano, come ben aveva inteso Antoine-La-Volpe.
Farina del tuo sacco e un sacco di tempo. Preparatela, no? Non vorrai mica fare brutta figura! Mhm. Resistenza. Minuscola, psicologica: resistenza. “Bella figura”. Qui funziona così: non è che hai cose da dire e le dici, no: eviti le brutte figure. Devi, o sei bruciato. E allora elenchi le cose-schermo degli altri, e la chiami professionalità. E la chiami Accademia.
Resistenza.
Capita che basta, che non ti va. Un giorno, di colpo, dopo anni, non ti va. Né schermo né altri: solo farina del tuo sacco. Ce n’è da farci torte e pizzette per anni, col tuo, perché da un decennio almeno impasti e macini, ma capita che hai (abbia?) paura. Fa paura, assumersi responsabilità. E questa è grossa. Rischi di farla grossa, di bruciarti davvero, tu assieme alle pizzette.
Ma non ce la fai. Più. Capita. Non ce la fai proprio più a metterti la maschera e giù a citare, citare, citare, come un bravo bambino Eri proprio così carino / Pigro di Testa / E ben vestito / Proprio un amore / Di ragazzino.
Vada come deve, o la va o la spacca. E allora non ti prepari, vai e parli, parli a ruota libera. Improvvisi. Lo vuoti, arditezza dopo arditezza, originalità dopo originalità (follia dopo follia?!), il tuo sacco ricolmo, ripieno, stracolmo, straripante di cose tanto tue da parerti insensate.
Ouch, attento, prof… Stai piano piano smentendo il titolo della tua lezione,… Dannazione, stai avanti, e va bene, ma così stai oltre, stai distante…Far, maybe… too far… Ma a questo punto indietro non si torna. Non si può. Non prevede retromarcia, questo Gran Premio, né sosta ai box.
Ma non ti mancano argomenti, quella è la cosa strana. Anzi. Vengono a te senza che sia tu a cercarli, a ripescarli dalla memoria: sono pop-up dello Spirito, aiutini celesti, sommovimenti karmici; è eccitazione, adrenalina. È piacere. Puro, inebriante piacere.
È biografia: viene, da sé e da te, tutto; ed è tutto vero. Condividi ciò che sei, fai e pensi, e proprio in quest’ordine.
Fai di te lezione.
E per un attimo, per un lungo attimo, ti pare di avercelo ancora un senso, tu e la tua indisciplinatissima disciplina. Te lo dice quel silenzio che conosce solo chi insegna: il silenzio dell’attenzione incondizionata. Forse, il silenzio del rispetto per ciò che è vero. Non ti stanno solo ascoltando: ti stanno dando una chance.
Ma lo sai, in cuor tuo, che non è Accademia. Almeno non quella che conosci, quella che vorresti. Stai fuori, ormai ne stai fuori. In fondo lo sai che per quei parametri no, non sei stato né utile né opportuno. Cosa gli hanno lasciato, le tue due ore? Quali “competenze spendibili (orrore…) nel mondo del lavoro”?
La scelta che stai meditando, quella sì, è opportuna: altrove, altri pensieri, altri scopi. Non è questione di palle o alterità: capita che stai (stia?) fuori, e te ne rendi conto. Capita che lo decidi, così, dopo aver fatto un favore a un’amica. E, forse, una bravata.
E allora non te lo aspetti, che possa capitare. Invece capita. Inaspettatamente, il mattino dopo una notte insonne, sudata a dirti e convincerti che fai bene a mollare perché ormai sei altro, e già sei altrove, possibile che non te ne rendi (renda?!) conto? Però capita. Capita come una e-mail:
“Gentile professore,
innanzitutto volevo dirLe che oggi la sua lezione è stata illuminante”
E due interruttori (capita…) tornano su ON.