“Sono comuni le cose degli amici”: a tu per tu con Matteo Nucci

di / 24 gennaio 2011

“…no, non sto tranquillo. Voglio stare bene”, è questa la frase che pronuncia il protagonista di “Sono comuni le cose degli amici” e che è uno straordinario inno alla vita.

Il libro di Matteo Nucci comincia proponendo una sfida: la prima parte, complessa, sembra quasi provocare il lettore a proseguire la lettura. Si è avvolti da una serie di nomi, personaggi, sentimenti, situazioni, luoghi e tempi talmente serrati che ci si sente smarriti. Ma è uno smarrimento dettato dalla intensità della narrazione. Lorenzo, il protagonista, attraversa stralci di vita, giorni che tendono imboscate, davvero comuni a tutti.  In queste prime pagine chiede amicizia al lettore, intesa non nel senso di Facebook, non è interessato al “contatto spensierato”, ma lo sollecita ad entrare a far parte del suo mondo più intimo, intrecciato tra presente e passato, chiedendogli compagnia. Sono queste “le cose comuni degli amici”, l’amicizia vera, partecipe, sofferta di cui tutti sentiamo il bisogno. Se il lettore accetta, sarà premiato perché la seconda e la terza parte scorrono piacevolmente, regalando la conoscenza di personaggi prima solo accennati e sfumati.

“Sono comuni le cose degli amici”è un viaggio appassionato, a tratti doloroso, in un’esistenza apparentemente non risolta, ma che in realtà si nutre di profondità quotidiane che inducono a riflettere : ”È sempre domani la luna piena, non lo sai?… Poi domani la guardi e ti accorgi che era ieri”.

Tutti i personaggi sono fortemente caratterizzati, con un ruolo che si svela e rivela lentamente al lettore. Non a caso “nulla è davvero come sembra”, Mamma Giovanna non dà spiegazioni sul suo passato, sul perché delle sue scelte, tutti dovremmo imparare da lei a non render conto agli altri, perché chi lo fa, spesso è interessato solo a giustificare se stesso. Giovanna invece è una donna risolta che sa essere mamma. Non pontifica ma suggerisce e ottiene: è il faber della scelta più importante che Lorenzo compie, decidendo di cercare Marco, l’amico tradito. Giovanna conosce profondamente il figlio e lo avvicina con cautela, senza egoismi, sollecitandolo con una forte e sana spinta propulsiva che molte madri non sanno dare.

Sara sarebbe una ragazza come tante, affamata di vacuità, che ama bere, prendere il sole e divertirsi con le amiche, ma merita rispetto perché fa innamorare Lorenzo al punto da tradire l’amico più caro. Carolina e Marco parlano al lettore, soprattutto con i loro assordanti silenzi. La lievità di Carolina nell’apparire e scomparire aleggia su tutto il romanzo insieme a Marco che si materializzerà solo alla fine. Entrambi sono personaggi veri con sentimenti autentici. Il papà, il dominus apparente, è colui che rende possibile lo svelarsi di molte intime realtà.

Tutti i personaggi si esprimono con la medesima cifra stilistica, ad esempio articolano le domande in tre tempi: “Dai? Dai che? Dai che, Sara?” Una caratterizzazione espressiva che forse rivela lo sforzo da parte dell’autore di appartenere alla storia, trascendendola, avvicinandola alla propria personalità, e riportandola a una dimensione di autenticità.

L’amore per il mondo greco, che fa da sfondo a tutto il libro, a tratti perfino urlato: “ La nostra civiltà nasce qui. La democrazia, la scienza, la storia, la medicina…” si sublima nelle fasi finali, quando Lorenzo telefona alternativamente a Sara e a Marco e trova i loro telefoni occupati per lo stesso tempo. Lorenzo si confronta con l’ineluttabilità del destino e con l’invidia degli dei che possono anche dare l’impressione di essere disponibili a cedere parte del loro potere progettuale, ma in realtà sono sempre sull’Olimpo pronti a riprendersi il monopolio di un destino che sfugge ad ogni umana comprensione e decisione. E Lorenzo questo lo sa (e a questo si inchina).

“Sono comuni le cose degli amici”: un libro che va letto, ma soprattutto riletto, per consolidare una vera amicizia.

Matteo Nucci nasce a Roma nel 1970, è giornalista, cultore del mondo greco antico, di cui favorisce e promuove la conoscenza con la pubblicazione di saggi filosofici su Socrate ed Empedocle. Nel 2009 cura per la casa editrice Einaudi la nuova edizione del “Simposio” di Platone. Inizia a collaborare con alcune importanti riviste (“Il venerdì” e “La Repubblica XL”). Come scrittore il suo esordio letterario è caratterizzato dal romanzo dal titolo “Sono comuni le cose degli amici” edito dalla casa editrice Ponte alle Grazie. Con questa pubblicazione Matteo Nucci si aggiudica l’ingresso nei finalisti dell’edizione 2010 del prestigioso Premio Strega. "Sono comuni le cose degli amici" è un viaggio alla ricerca di se stessi e un atto d’amore nei confronti della letteratura e della Grecia, paese particolarmente amato da questo scrittore.

Attraverso alcune domande, l’occasione di conoscere il suo pensiero:

Matteo Nucci scrive per…

Stare bene. Per fare quel che amo fare. Per cercare di dire sempre qualcosa in più, e svelare – prima di tutto a me stesso – la bellezza e la complessità del velo che copre ogni cosa.

Lorenzo sonda la disponibilità del lettore a essergli amico, offrendogli all’inizio densità, trascinandolo in una rete fitta di personaggi e situazioni… È una tattica letteraria o un’esigenza esistenziale?

Entrambe. Nella scrittura, nelle tecniche che uno dispiega nella scrittura, ammesso che uno scriva per i motivi che dicevo prima, tracima sempre un’esigenza esistenziale. Io amo gli scrittori che mi sfidano e le persone che mi sfidano. Se la sfida è alle proprie capacità senza invidie e senza gelosie, l’altro è un amico che ti invita al superamento. Sento amici gli scrittori che mi hanno sfidato costringendomi a svelare enigmi e superare me stesso. Dunque è quel che voglio fare io, a mia volta, come scrittore e come amico.

Giovanna, la mamma, è la sintesi perfetta tra modernità e tradizione. Lorenzo  sembra assomigliare  a lei  più che  al padre… è davvero questa l’intenzione dell’autore?

Non so se fosse l’intenzione o la realtà che prendeva la mano, quella specie di realtà che acquista una sua vita quando si scrive una storia. Certo quello è il punto. È un piacere sentirlo dire perché molto raramente la questione è stata sottolineata. Lorenzo è ossessionato dall’idea di esser simile al padre e invece, ecco qua, è molto più simile alla madre.

Nonostante le apparenze, il protagonista è psicologicamente molto attrezzato a navigare nelle acque agitate della vita e a cambiare scenario in modo molto dinamico; è un messaggio subliminale che l’autore vuole trasmettere?

Piuttosto è il gioco che fa lo scarto fra apparenza e verità, da sempre. Nel libro c’è un’apparenza di immobilità. Molte scene sono descritte minuziosamente, con dettagli quasi snervanti. Eppure, sotto il velo, tutto è in movimento. Mentre, quando sembra che qualcosa accada (come alla fine della seconda parte), dietro il velo ci si accorge che nulla è accaduto o che gattopardescamente è accaduto qualcosa solo perché nulla cambiasse. I cambiamenti di Lorenzo in particolare sono necessari. Lorenzo nei mesi raccontati dal libro si trova di fronte alla necessità di scegliere. Capisce che solo scegliendo potrà rientrare in contatto con se stesso.

Il rapporto d’amore, per quanto limitato nel tempo, schiaccia totalmente un rapporto di amicizia profondo, ma la supremazia di eros su philia (amore su amicizia) è solo temporanea?

Lasciamo parlare Platone. La vera philia è erotica. Al tempo stesso, l’amore senza eros, quello che i greci chiamavano aphrodisia, è una sventura. Intendiamoci, eros è qualcosa che non unisce soltanto nelle relazioni che oggi sono dette erotiche, né riguarda rapporti strettamente umani. Il vero eros è una forza portentosa presente in ogni essere umano e capace di unirne l’anima in se stessa, per renderla potente e capace di raggiungere grandi obiettivi: una relazione di amicizia, una relazione di amore in senso stretto, oppure l’amore verso il proprio lavoro o verso i figli o verso la verità (la philosophia è attività eminentemente erotica). Detto questo, nel libro la relazione tra Lorenzo e Sara è in buona parte dominata dagli aphrodisia che sembrano mettere in discussione qualsiasi eros. Sia quello che dovrebbe svilupparsi tra i due partner, sia quello che ha irrobustito e caratterizzato la relazione di philia tra Lorenzo e Marco. Sembrano questioni complesse ma sono le cose che succedono ogni giorno.

Lorenzo conosce l’ineluttabilità del destino progettato dagli dei per ogni uomo. Si inchina ad esso?

Lorenzo è ossessionato da questo destino. Immagina che questo destino sia inesorabile e abbia già preso una forma precisa per lui. Immagina che questo destino sia il portato della sua nascita, dei conflitti irrisolti con il padre e della sua inerzia di fronte alle scelte. Ma non si inchina. E quando capisce che, per quanto vacuo, lo spazio per una scelta esiste, be’ quello è il punto di non ritorno. Ciò che peraltro costringe Lorenzo a capire qualcosa del padre che non aveva mai immaginato, qualcosa che non vorrebbe mai aver capito del padre, qualcosa però che lo mette di fronte a se stesso più di qualunque altro tipo di comprensione. Il libro dunque racconta un percorso conoscitivo. Si tratta del classico “conoscere attraverso la sofferenza” che i tragici marchiano come paradigma della loro opera.

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