0.6/Jeff

di / 4 febbraio 2011

Was Hypnotized by a strange delight
Under a lilac tree
Lilac Wine 
– Jeff Buckley 

Il furgone correva sulla strada che dava sul Wolf River. Dal finestrino, osservavo l’incessante scorrere dell’acqua e ogni volta che un raggio di luce riusciva a bucare le nuvole appariva il riflesso di Sandy che guardava davanti a sé, oltre il parabrezza.
«Fermiamoci, abbiamo un po’ di tempo prima di andare in studio», disse Jeff passandosi la mano tra i capelli. «Voglio rinfrescarmi. Voglio fare un bagno».
Keith storse il naso, tossì e poi disse: «È meglio di no, potresti ammalarti. Devi dare il meglio». Tossì un’altra volta. «Altrimenti quelli della Columbia ‘sta volta ci fanno davvero il culo. E poi, Cristo Santo», aggiunse, «non farmi fare sempre la parte di tua madre». Tirò un pugno sul cruscotto con poca convinzione.
«Dai, gira qua a sinistra, tra poco c’è una stradina che scende verso il fiume. Stiamo solo dieci minuti. Dieci minuti e basta».
Keith spostò lo specchietto retrovisore che penzolava tra loro due, cercando di inquadrarci. Piegò la testa all’insù come per dire “Che facciamo?”. Se non avesse svoltato verso il fiume – lo sapeva benissimo –, Jeff avrebbe tenuto il broncio per tutta la serata e le registrazioni sarebbero state solo tempo perso.
Piegò la testa una seconda volta, come un animale che percepisce qualcosa di nuovo nell’aria. L’idea di fermarci non mi entusiasmava. Feci spallucce. Sandy, invece, agitò la testa su e giù, come una molla.
«Ok, andiamo. Solo dieci minuti, ci siamo intesi?»
«Sì capo, solo dieci minuti».
Scendemmo per la strada sterrata, nel punto che Jeff ci aveva indicato. Gli ultimi raggi di sole filtravano lievemente attraverso gli alberi. Mi sistemavo i capelli e ascoltavo il rumore delle gomme che correvano sui sassi. La lattina di Coca-Cola che avevo poggiato accanto a me tremò e scivolò a terra, tra i miei piedi. La raccolsi e la tenni in mano.
Accanto a noi passò un’auto che stava risalendo la strada per immettersi sulla statale. L’autista suonò il clacson per salutarci. Keith rispose suonandolo due volte.
Anche Jeff suonò il clacson: non stava più nella pelle. Sembrava che quel bagno fosse l’obiettivo di una vita. Guardava a destra e poi a sinistra; si mordeva le mani e subito dopo le batteva sul cruscotto, tamburellando un vecchio motivo rock; agitava le gambe e dava un colpetto sulla spalla di Keith, che si sforzava di sorridere.
«Fate il bagno anche voi?» Disse Jeff dopo essersi girato di scatto. Aveva poggiato il mento sopra lo schienale.
Mi fermai ad osservarlo per l’ennesima volta. I lineamenti perfetti del suo viso, il suo sguardo. Il ciuffo di capelli che sfiorava gli zigomi e le labbra morbide. Adoravo quel suo modo naturale di essere bello.
«Allora, venite a fare il bagno?», disse Jeff.
«Sì, eccoci», disse Sandy. Poi, spostando lo sguardo verso di me, disse: «Non è vero?».
«Certo», risposi, cercando di apparire il più possibile convincente. Jeff sorrise, si girò e riprese a tamburellare sul cruscotto.
Ci fermammo ad una trentina di metri dal fiume. Appena Keith spense il motore, Jeff aprì lo sportello e saltò fuori dal furgone. Finì con un piede in una pozzanghera. Gli schizzi di fango gli sporcarono i jeans e gli stivali ma continuò a correre come se niente fosse.
«Sandy, io non faccio il bagno, fallo da sola se vuoi», dissi mentre ci incamminavamo verso il fiume.
«Perché no?».
«Non mi va proprio, scusami››, risposi sbadigliando. «Anzi, perché non mi fai compagnia?».
«Ma io voglio farmi il bagno. Spogliati e buttati in acqua con me».
«Preferisco stare fuori, davvero».
«Sei sicura?».
«Sì».
«Allora vado, altrimenti perdo tempo. Hanno detto dieci minuti, no?», chiese, mostrandomi entrambi i palmi delle mani.
«Hanno detto dieci minuti, sì».
Keith cercava di stare dietro a Jeff che accelerò improvvisamente, come se il fiume dovesse prosciugarsi da un momento all’altro. Completamente vestito, fece tre o quattro passi nell’acqua e poi si tuffò. Keith rimase sulla riva e si chinò per capire quale fosse la temperatura. Sandy inciampò mentre si toglieva le scarpe. Alzai lo sguardo: nel cielo, ciò che rimaneva del sole era uno spicchio rossastro che si stava mescolando con il nero della sera.
«Esci dall’acqua, è fredda».
«È meravigliosa, venite tutti quanti».
«Esci, è stata un’idea del cazzo».
«È stata l’idea migliore che mi sia mai venuta in mente», disse, e iniziò a nuotare a dorso.
Arrivata a pochi metri dalla riva, mi resi conto che il fiume era più largo di quanto sembrasse dalla strada. Per attraversarlo da una sponda all’altra sarebbe stato necessario essere ben allenati e io non avevo nessuna intenzione di nuotare. In quel momento, un vento leggero fece frusciare le fronde degli alberi.
«Vado verso i piloni di quel ponte e torno», gridò Jeff. «Whole lotta love, Whole lotta love!».
«È da stamattina che canta ‘sta canzone», disse Keith sedendosi. «Comunque ci rinuncio, nuotasse quanto gli pare». Mi sedetti accanto a lui, incrociai le gambe e gli accarezzai i capelli.
Sandy era rimasta un po’ indietro, si era spogliata lasciandosi addosso solamente gli slip e il reggiseno, ed era pronta per buttarsi in acqua. Non ci riuscì. Keith, infatti, dopo essersi alzato di scatto, la fermò. Un rumore improvviso scosse la natura circostante.
Keith si mise in punta di piedi cercando di guardare oltre il ponte. Lo imitai. Sandy, come sempre, sembrava spaesata.
«Cosa succede?» Disse sistemandosi il reggiseno.
«Non hai sentito la sirena? Probabilmente sta per passare un battello».
«Oddio», rispose mettendosi una mano sulla bocca.
«Eccolo, lo vedo», dissi indicando la sagoma scura che saliva controcorrente.
Il battello viaggiava sicuro verso il ponte. A prua, un gruppo di turisti scattava delle foto ad una vecchia casetta costruita sulla sponda opposta alla nostra. L’acqua iniziava ad agitarsi e a riva le onde arrivavano più decise. Jeff continuava a nuotare, cantando. A mano a mano, le distanze si accorciavano.
Accadde tutto in pochissimo tempo.
Il battello superò il ponte. Iniziammo a gridare il più forte possibile. Sandy raggiunse note altissime, ma io non fui da meno. Keith agitava le mani
saltando, ma Jeff non si accorgeva di niente.
Tirai fuori tutta la voce che avevo in corpo. Keith, spaventato, tremò e si mise una mano sul petto. Mi svuotai completamente, fino all’ultima goccia. La gola bruciava, avvertivo forti fitte all’altezza dell’addome. Provai a gridare di nuovo, ma ne uscì solo un rantolo. Disperato, non sapendo cosa fare, Keith entrò in acqua ma si fermò dopo pochi passi e rimase lì, con lo sguardo perso verso il suo amico.
Un’onda fece scomparire Jeff per un istante. Appena riemerse, capì cosa stava accadendo. Agitò la testa, si girò e vide quel mostro che correva verso di lui. Una maschera di terrore deformò il suo volto.
Prese a nuotare verso la riva, ma le acque agitate gli impedivano di muoversi con naturalezza. Due bracciate e andava giù. Riemergeva e s’inabissava.
Apriva la bocca per respirare, si dimenava e di nuovo scompariva. Fu tremendo.
Mi sentii male, un nodo alla gola mi bloccò la respirazione per qualche secondo. Caddi in ginocchio, poggiai le mani a terra e tossii.
Mentre Keith sembrava pronto per buttarsi in acqua, il battello passò a pochi metri da Jeff. Un’ onda più alta delle precedenti lo afferrò trascinandolo giù. Con tutte le mie forze, mi alzai gettandomi tra le braccia di Sandy che mi strinse forte. La sua pelle era gelata. Non mi reggevo in piedi, tremavo come una foglia. Guardai i suoi occhi verdi, poi girai lo sguardo verso il fiume. La mano di Jeff riemerse per un attimo, poi scomparì. Aspettammo col fiato sospeso, sperando di vederlo tornare a galla. Fu tutto vano, non riemerse più.

Il corpo fu ritrovato il 5 Giugno tra i rami di un albero sotto il ponte di Beale Street, la via principale di Memphis.

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