“Attorno a questo mio corpo” di L. Pacelli, M.F. Papi e F. Pietrangeli

di / 15 febbraio 2011

Negli ultimi anni sono usciti prima i Luoghi e oggetti della Letteratura Italiana poi un interessante volume in cui venivano presentati autori della nostra tradizione attraverso lo studio di un particolare tema: gli animali.

Maiali, farfalle, gatti, api, formiche, pesci. Tutti insieme, autori classici e moderni, accomunati da un filo “bestiale”.
Ma non basta. In questi mesi è uscito infatti Attorno a questo mio corpo (Hacca, 2010) un interessante volumone (più di seicento pagine) curato dagli ottimi Laura Pacelli, Maria Francesca Papi e Fabio Pierangeli le cui fondamenta si poggiano sull’idea di una letteratura “attraverso il corpo”.

Mi vengono subito in mente il naso aquilino di un Dante o quello “virile” di un D’Annunzio, penso alla gobba di Leopardi, alla pancia di Manganelli, agli occhi di tanti poeti; ma l’esperimento messo in atto – perché di esperimento si tratta – va al di là di semplici collegamenti.
Una storia della letteratura “costruita dal basso, attraverso la specola del corpo degli scrittori” che scruta, indaga e tocca con mano le viscere o la pellaccia superficiale.
Un gioco colto o, più semplicemente, una ardita architettura letteraria messa in piedi da professori, studiosi, scrittori e intellettuali di più generazioni.

Spiccano il poeta Elio Pecora che ricorda Dario Bellezza, voce dimenticata del “postpasolinismo”; Dante Maffia che prova a disegnare un ritratto di Tommaso Campanella; Francesco Lioce, nipote del rimpianto Piergiorgio Welby, che cerca di inserire Carlo Dossi nel “corpo della storia”; l’inedito Machiavelli “frequentato” da Giulio Ferroni; Renzo Paris che descrive il corpo Sandro Penna con la perfetta metafora di un “verso breve”; l’attento studio di Paolo Di Paolo sulla figura di Petrarca, riconducibile ad una “fronte serena”; il “corpaccio” di Palazzeschi descritto da Emanuela Bufacchi.
Ma l’elenco sarebbe lungo: le rughe di Ariosto, imuscoli di D’Annunzio, le spalle di Leopardi, il naso di Fenoglio, gli occhi di Federigo Tozzi, il cervello di Calvino. Uno dopo l’altro i ritratti (e gli autoritratti) scorrono via senza apparente fatica, emanando un’incredibile aurea per una volta non evanescente ma profondamente terrena, fisica, viscerale.
Molte le fonti: documenti, epistolari, documentari, ricordi personali, fotografie. Perché un “gioco” per essere tale deve mostrarsi più serio possibile.

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