Etichetta

“Che fine ha fatto la tua etichetta?”. E mi domando sgomento a quale regola del galateo ho contravvenuto incontrandola, la collega: non l’ho salutata? Non le ho ceduto il passo dal corridoio al patio esterno? Non mi sono pettinato, ho mal combinato i colori…
“Che fine ha fatto la tua etichetta?”, mi ripete mentre sento lo sgomento salirmi al volto (sono burbero, è vero, ma mai scortese, spero, e la taccia di maleducazione mi atterrisce, sinceramente).
“Passavo ieri, dal tuo ufficio, e ho visto che accanto alla porta…”.
Aaaah, ecco! Quella, etichetta! Mi ragguaglia con la precisione che le è propria circa la scomparsa non della sola etichetta, ma di tutto “ […] il blocco che contiene la striscia che […]”…
Non volermene, Collega Cortese, ma il pensiero già vaga irrefrenabile lungo i sentieri della polisemia: troppo, troppo bello il monito implicito per non seguirne il corso. E fantastico, ebbro, mentre accuratamente scubetto al bar la fetta di ciambellone che tutti, ma proprio tutti vogliono farmi intingere (“Non lo pucci?!”) nel caffellatte (“No, non lo “puccio”: a me piace imbibire il bolo, ok?!”) . 
Ora, il dramma di essere (controvoglia: storia lunga) cristiani e genuinamente lirici sta nell’inevitabile collasso del determinismo. Non che si diventi di colpo “matite nelle mani di Dio” (privilegio riservato alle Sante), ma qualche spiraglietto ai segni e alla loro interpretazione si apre. Certo più che non nei devoti del causa-effetto; inclini, peraltro, all’unireferenzialità semantica (e non a caso ottimi estensori di Enciclopedie…).
I segni. E il senso. Non mi abbandona, questo interrogativo, nemmeno dopo ore e compiti infami: “Che fine ha fatto, che fine ha fatto? Eh?! Che fine ha fatto??”.
Va bene, ho capito. Mi arrendo, ok… oggi devo (ri)trovare il mio nome e (ri)metterlo alla porta perché si possa, almeno qui, tornare ad accogliere: in fondo io so chi sono, ma chi passa (il Prossimo?!) mica lo sa… 
E visto che mi ci trovo, oggi torno a darmi da fare per ritrovare pure la mia cortesia. Certe polisemie, come che originino, vanno onorate.