“Prigionieri del paradiso” di Arto Paasilinna

di / 2 marzo 2011

È una narrazione che scorre, leggera, veloce, quasi primitiva. Prigionieri del paradiso dello scrittore Arto Paasilinna, che in Finlandia è molto apprezzato, ruota intorno al classico mito dell’isola paradisiaca, quello che ha ispirato, per esempio, La tempesta di William Shakespeare. Nessun problema sull’argomento quindi, anzi, un mito non smette mai di dare ispirazione, variando gli elementi, aggiornandoli, facendo dialogare l’ingegno con la tradizione. Quello di Paasilinna è un romanzo leggero, dove però la leggerezza è pregio e difetto. Non c’è lo spessore psicologico dei personaggi, che sono pari a pupazzetti con una caratteristica predominante e pochi conflitti interni. C’è di certo l’interesse suscitato con la trama; il lettore vuole scoprire cosa succederà, cosa faranno i nostri eroi sull’isola. Poi, però, gli accadimenti, per quanto verosimili, non vanno al di là della gag da raccontare così, tanto per fare ridere. Manca, insomma, quella verità nascosta che si cerca nella letteratura. È tutto così alla luce del sole, che si perde parte della magia della lettura.

Resta interessante, comunque, l’esperimento dei superstiti nell’isola di ricreare una nuova forma di comunità. E viene da ripensare a tante utopie di giustizia, di libertà, che spesso si crede possano essere possibili solo in un’isola lontana, in un territorio altro. I valori che emergono dunque, in questo piccolo mondo creato da Paasilinna, sono buoni, lodevoli: c’è il senso dell’onestà, la volontà di convivere in armonia, la mancanza di individualismo, solo che lo stile è sciatto (almeno nella traduzione italiana). Un buon romanzo per poter ridere e perché no, anche riflettere un po’ sull’umanità. Un brutto romanzo se si cercano eleganza e profondità.

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