Io vengo dal Celio – Davverio?

Lo avevo immaginato, che la tua zona fosse diversa dalla mia, ma non così tanto. Avevano parlato per te i tuoi occhi, di un colore tra due noti ma non esattamente una loro sfumatura. Forse noi quaggiù nemmeno ce l’abbiamo la parola che lo descrive, quel colore. Anche il taglio dei capelli era un ottimo indizio, al pari dell’espressione vera e di un abbigliamento molto diverso da quello che ti aspetteresti un sabato sera. Colori (ancora) in righe, cuoricini al collo e scarpe che non ho visto ma giurerei non stivali. Un che di accollato e dignitoso, un obbligo all’ascolto, un convergere di sensi attivi a quello che in fondo è il meglio: bocca e occhi. Lo sapevamo anche noi quaggiù, un tempo, che gli occhi sono lo specchio dell’anima e che se il preludio è sempre un bacio, anche quelle labbra hanno senso e ha senso lasciarsene stregare. Poi abbiamo inventato la pornografia, chiamandola erotismo se laureati, e ci siamo tutti un po’ spezzettati: abbiamo inquinato sguardi e cuori mentre voi lassù avete per certo pensato ad altro. A come fare i cuoricini di feltro, per esempio, e a come portarli con tanta disinvoltura e giocherellarci anche disquisendo di massimi sistemi.
Vieni dal Celio, e forse  t’annoiano i nostri rituali di corteggiamento. Sì, siamo diventati un po’ troppo finalizzati, quaggiù. Abbiamo delle tappe, in mente, scandiamo i tempi come lo story-board di una telenovela o, peggio, ricalchiamo modi e toni di un reality-show (no, non te lo spiego cosa sono: mi vergogno troppo). Se qualcosa va storto, se s’inceppa un meccanismo, ci irritiamo: salta il giochino, salta la dinamica causa-effetto (pensa, ci abbiamo fondato il pensiero scientifico: voi invece come create? come conoscete?). Scatta, alla fine, la nevrosi da bancomat guasto (no, nemmeno questo ti spiego: è una cosa che sostituisce i soldi che però devi andare a prendere ogni tanto; sì, sono d’accordo, è una scemata).
Non siamo stati sempre così, sai? Un tempo eravamo tutti più rilassati, prendevamo le cose come venivano senza troppo starci a interrogare su costi e benefici, senza pianificare mosse e contromosse. Sapevamo annegare in un sorriso, perderci in un paio d’occhi ridenti e fuggitivi (bella, vero? non è mia, però: è di un poeta nostrano un po’ strano ma tanto bravo da far pensare… no, non dirmelo se è dei vostri; ti prego, no!). Sapevamo centellinare anche il desiderio, calibrandolo sulle modulazioni di chi desideravamo e non sulle nostre pulsioni.
Poi le cose sono precipitate: “Civiltà dei consumi”, l’abbiamo chiamata. “Progresso”. Tanta tecnologia, passi avanti  nella medicina e nel sociale… (sappiamo leggere quasi tutti, ma quasi nessuno lo fa: scrivere poi! pensa, proprio noi che da questa Penisola abbiamo insegnato a poetare a tutto il Continente!). Abbiamo sbagliato, ci siamo lasciati prendere la mano:  pretendiamo di comperare tutto, di avere subito soddisfazione di ogni capriccio che ci passa per la testa. Le persone però non sono capricci, gli affetti non sono bisogni e le relazioni si stabiliscono, non si consumano.
Ma sto divagando, scusa. Tu vieni dal Celio, non volesse Iddio (ancora più dura da spiegare; immagina un super-Papà che ogni tanto si distrae e chiede mille attenzioni) che te ne torni là senza che ti abbia parlato della cosa più importante. Ecco, volevo dirti che è stata una bella esperienza vedere come tu che vieni dal Celio sei refrattaria alle dinamiche terrestri: hai un che di meno alieno (proprio tu!), un sentore trigonometrico antico e un afflato azimutale che sanno di rotte da inventare, di luoghi e spazi oltre. Parecchio, oltre.
Non lo so che idea ti sei fatta di me. Se ti va di provare a vedere se magari la prossima volta mi riesce di sintonizzarmi sulla tua lunghezza d’onda.Sono terrestre, DQ;  ma grazie al Celio, non terra-terra.