Il male naturale

di / 30 marzo 2011

Ritorna in libreria la raccolta Il male naturale (Laurana, pp. 224, euro 15,50) di Giulio Mozzi, che fu al centro di una pepata polemica nel 1998 a causa di un racconto provocatorio, “Amore”, pubblicato nel sito della Mondadori (primo editore della raccolta) come anteprima del volume. Un racconto che parlava esplicitamente di pedofilia e che continua a risultare molto, molto forte. Tra le prime recensioni al libro c’era chi faceva notare come il racconto, seppure eccessivo, fosse allo stesso tempo esente da autocompiacimenti; ci fu chi, un deputato leghista, gridò allo scandalo; e ci fu un’interrogazione parlamentare con l’allora Presidente D'Alema che se la cavò a occhio e croce in politichese. L’oggetto della discussione fu spostato dal racconto a internet quale autostrada per l’inferno, pantano ribollente di contenuti illegali, spurgo del nostro lato nascosto. Senza far valere l’abusato argomento della libertà d’espressione, la morale, se vi è una morale in questa storia, è che i politici continuano a dare l’impressione – giusta o sbagliata che sia – di leggere poco, e che prendersela con chi racconta il male non serve a eliminarlo, il male, tutt’al più serve per farsi citare sui giornali. Rileggere questo libro a polemica sopita ci permette infine di riportare alcune semplici osservazioni: il racconto “Amore” è davvero disturbante, c’è poco da dire; Giulio Mozzi ha dalla sua una prosa cristallina, vero marchio di fabbrica che non stiamo scoprendo noi, una prosa che senza perdere in chiarezza si avviluppa a cavatappi e a mo’ di preghiera, incastonando parola su parola alla ricerca di una redenzione impossibile dal male naturale oggetto del libro; infine, giudizio personalissimo, la raccolta cresce pagina dopo pagina e ci regala il suo momento migliore nel finale, con “Coro”, dedicato a Mariele Ventre dello “Zecchino d’Oro”, programma spartiacque tra la dannata generazione Goldrake, genia di senza Dio assatanati di sangue, e i suoi zii e fratelli maggiori. Premesso che qui preferiamo i cartoni giapponesi, che ci hanno fatto divertire mentre i grandi erano impegnati a farsi il segno della croce, propalare pregiudizi e leggende metropolitane, a rileggere “Coro” sembra che Giulio Mozzi avesse più di un buon motivo per rievocare quell’Italia in cui Mariele Ventre dava ai bambini l’opportunità di “cantare, da soli o in coro, […] studiare, esercitarsi, avere costanza, provare e riprovare”. Una forma di gioiosa disciplina dell’animo che risulta molto più simpatica dell’attuale ossessione per il nichilismo.

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