Il popolo Shardana

di / 12 aprile 2011

“Il popolo Shardana. La civiltà, la cultura, le conquiste” è un interessante lavoro di ricerca sulle origini e le tradizioni della Sardegna.
Per l’originalità delle teorie proposte (secondo l’autore, poggiano su basi solide) l’argomento non riscuote il dovuto successo in ambito accademico e, più in particolare, archeologico, ma il popolo sardo, orgoglioso e tenace, non si arrende e continua a pubblicare saggi, scritti nel tentativo di valorizzare il proprio patrimonio culturale, anche sull’onda di nuove teorie, che individuano nell’isola le tracce di ciò che rimane della mitica Atlantide, la terra che sarebbe scomparsa nei mari. Secondo la scrittrice Francesca Lulleri, che mi ha segnalato tale testo, la diffidenza palesata dagli ambienti accademici è determinata dal presupposto (sbagliato?) che il popolo sardo sia rimasto isolato per millenni, senza contatti col mondo esterno, e quindi si pensa che, ad un certo punto, sia stato inevitabilmente sottomesso da altri popoli, dai quali avrebbe assimilato pedissequamente usi e costumi.
Marcello Cabriolu, come altri fautori di questa affascinante contro-teoria, rovescia il punto di vista: sostiene che siano state le popolazioni “altre” a fare tesoro delle conoscenze custodite dai sardi, anticamente chiamati Shardana, i quali navigavano il Mediterraneo, commerciavano, combattevano, costruivano e dunque lasciavano testimonianze significative del proprio passaggio.
Di più: basandosi su dati e reperti archeologici, l’autore ipotizza la loro presenza durante la guerra di Troia ed anche tra i guerrieri che salvarono l’esercito egizio di Ramses II, nel 1275 A. C., quando stava per essere sconfitto dalle armate ittite, intervenute in difesa del regno di Qadesh. Questa vicenda, del resto, è celebrata nella stele di Tanis, dove i guerrieri Shardana (o “guerrieri cornuti”) vennero descritti come “coloro che erano giunti dal mare aperto con le loro navi da guerra e che nessuno era stato in grado di fronteggiare”.
Il libro di Cabriolu è diviso in 9 capitoli. Il suo modo di esporre è semplice e chiaro, anche se più adatto a chi conosce almeno in parte l’argomento (forse è questo il suo limite?).
Fin dalle prime pagine si nota comunque un metodo di lavoro razionale, che trasforma l’opera in un trattato di archeologia nuragica. Corredato di numerose immagini a colori, questo libro ripercorre, attraverso un’attenta indagine antropologica e storico-economica, i passaggi salienti dell’evoluzione del popolo shardana/sardo, conducendo il lettore alla conclusione che l’isola potrebbe essere stata una vera e propria “culla” della civiltà occidentale.
Riesaminando i parametri ambientali e genetici propri dell’uomo moderno, l’autore sostiene che essi sono frutto del lungo isolamento (avvenuto circa 20.000 anni fa, durante il periodo interpleniglaciale) dei gruppi stanziatisi nella Sardegna Paleolitica, ad eccezione della zona gallurese (vicina alle Bocche di Bonifacio e alla Corsica, non affine alla civiltà nuragica).
Il consolidamento dei sardi come vero e proprio popolo, con usi e costumi, tecniche edilizie e manifatture comuni, avvenne già nel Neolitico Finale (3200 – 2850 a.C.) concludendosi con la presa di possesso di alcuni giacimenti minerari e con il conseguente avvio dell’attività metallurgica.
Cabriolu afferma poi che questo popolo appariva organizzato in società di tipo statuale già nel periodo che va dal Bronzo Medio (1600 – 1330 a.C) all’età del Ferro (900 – 510 a.C).
Anche il fatto che la posizione strategica dell’isola, sita al centro del Mediterraneo, avrebbe fatto da perfetto trampolino per quelli che, tra i popoli del mare, sarebbero diventati i più conosciuti del mondo antico: i guerrieri Shardana, pare confermare le teorie di questo originale scrittore-archeologo.
 

[si ringrazia Francesca Lulleri per la preziosa collaborazione]

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