Titolo Doppio

Esiste un titolo doppio, nella pretestuosità degli argomenti. Le più volte li si inanella, fino a ineludibile pausa, a mascherare l’assenza di cose da dirsi. Più raramente, a evitare che quella pausa si riempia di indicibile.
Soccorrono i toni, confortano i ruoli (quando triti è il timbro, a denunciare stanchezza), ma sospiri mal celati e inversioni delle modalità use (chi ha chiamato? per dire cosa?) possono non bastare.
Ci sono telefonate i cui dialoghi cominciano riagganciando.
Lo intuisci, quel parlarsi “oltre”, dalla composta frenesia con cui, posato il cellulare (è una carezza, questa cura d’adagiare?), sbrighi il compito ingrato che tanto a lungo hai rimandato. 
Lo senti, quell’appagante riattivarsi di desideri sopiti, nella fugace occhiata allo specchio che ti incanta, per quanto rara, di una capigliatura stranamente acconciata di per suo. Sorridi, in quella sponda di sguardi. 
Lo capisci, che a te torna di te finalmente piena consapevolezza, dalla figurazione dell’interlocutore nella posa che sola può essere perché è così che te lo rappresenti. Perché è così che vorresti sedergli innanzi.
Lo validi, e il dubbio fuga, e ti fai ardito, nel bisogno di prendere carta e penna e dare forma condivisa perché tu li hai, ribalta e destinatari (non li hai voluti, in fondo, solo per questo?) a un indicibile già detto a molti. 
Già noto a troppi. Già così violentemente inabissato al fondo delle tue verità sepolte da non esser pronto a fiondarsi di scatto in superficie.
E urlarsi, Per verba, al mondo.