“Ternitti” di Mario Desiati

di / 27 aprile 2011

Una fiaba dove però i lavoratori muoiono d’amianto e un romanzo sull’amore imperituro tra due persone che sono come due pietre che combaciano. Questo e altro è Ternitti, romanzo di Mario Desiati. Le descrizioni, assai frequenti, sono come microsequenze di un film, come cortometraggi, tangibili, tridimensionali. Subito appare, prepotente, nell’incipit, l’argomento religioso. A partire dal nome della protagonista, Domenica Orlando detta Mimì: “Domenica era una santa potente”. Prosegue, la tematica religiosa, un po’ per tutto il libro, in forma di rituale, di processione, di rapporto con la morte. L’esistenza di Mimì cambia radicalmente quando i genitori, per lavorare, decidono di trasferirsi da un paesino della Puglia alla Svizzera. Mimì oltrepassa il limite da un’esistenza a un’altra, da un’infanzia circondata da ulivi e orti di cicoria, dai fichi d’india e le scogliere a un’adolescenza costretta a Zurigo in una vecchia vetreria abbandonata.

Mimì è un grande personaggio, pieno di contraddizioni. Gli altri si chiedono se sia una ragazzina normale: “passava le sue giornate lontana da tutti”. Ma nell’incomprensione degli altri trova lo spazio per crescere e maturare, per coltivare valori puri, l’altruismo, la profondità. Ternitti non è solo il romanzo di un grande personaggio, di un grande sentimento e della denuncia della tragica condizione di chi lavora l’amianto. È anche il racconto dell’emigrazione dal Sud, com’era già stato in Foto di classe (2009), reportage in cui Mario Desiati descriveva i modi delle tante migrazioni dal Sud al Nord di giovani della sua età.

La parola, in Desiati, diventa grido espressionistico di un’emozione, com’è nel titolo, Ternitti, “storpiatura della parola Eternit”, nome con cui “venivano chiamate le fabbriche in cui si aveva a che fare con il cemento amianto”. Solo due anni al ternitti sono capaci di spegnere la vita di Antonio Orlando, padre di Mimì. Mimì diventa donna e madre, ha una bambina che cresce, tornata nella sua terra, senza Ippazio, l’uomo con cui l’aveva concepita, a Zurigo.

Tra i tanti personaggi non protagonisti, il mio preferito è senza dubbio Biagino, detto anche Celestino per il colore dei suoi capelli, anzi, della sua cresta. Fratello di Mimì, dedito spesso all’alcol, soffre anche di mitomania, credendo di essere Gesù durante una sbronza colossale. Ma lui non farebbe male a una mosca, pur se con il corpo prestato ai superalcolici: “era un uomo rotto. Per questo era un uomo pieno di verità”, scrive Desiati.

Eppure, in un contesto così vario, pieno di personaggi diversi fra loro, di stili diversi fra loro, di luoghi, di verità, di morte, di malattia, l’amore resta la carta vincente, e sopravvive. Non è un amore acqua e sapone, ma un amore indagato, sedimentato, ispezionato nelle sue radici: “A Mimì mancava la fantasia di Ippazio, quella che portava il suo primo amore a vedere spettri”. Questo è il modo che Desiati ha di indagare nell’anima dei suoi personaggi e di riflettere sulla vita. Questo è Ternitti.

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