La contessa di ricotta
di Fernando Bassoli / 2 maggio 2011
L’autrice Milena Agus è nata a Genova, ma vive e lavora a Cagliari, dove insegna italiano e storia. “La contessa di ricotta” è il suo quarto, gradevolissimo libro, edito da “Nottetempo”, con copertina di Dario Zannier. Un romanzo breve che mi ha favorevolmente impressionato.
La trama, in estrema sintesi: tre sorelle abitano tre distinti appartamenti di un palazzo nobiliare – costruito nel ‘600, un tempo interamente di loro proprietà – sito nell’antico quartiere “Castello” di Cagliari. Tre sorelle dunque e, come spesso accade, anche tre diversi modi di vedere le cose, di interpretare il senso più recondito del proprio destino come divenire di passato e futuro.
Noemi non accetta il ridimensionamento forzato e si impone tenacemente di ricostruire la ricchezza perduta, col conseguente prestigio sociale; Maddalena fa una malattia del fatto che non riesce ad avere figli; c’è poi la terza, “la contessa di ricotta”, così chiamata perché non c’è oggetto che sappia tenere in mano (figuriamoci il figlio Carlino, un vero terremoto, che non sta fermo un secondo, metafora dell’inquietudine del vivere). è maldestra, insomma, un’inetta sveviana (da non confondere coi vinti di Verga), ma, a ben guardare, è il mondo reale nel suo complesso che provoca danni al suo debole cuore, “anche lui di ricotta”.
Le tre contesse sono figlie di una donna invidiata da tutti, perché aveva avuto la fortuna di sposare un uomo ricco e nobile, proprio lei che era figlia di una “egua”, cioè di una prostituta, che l’aveva messa al mondo dopo una gravidanza di neanche sette mesi e che, essendo nata il giorno dell’Epifania, l’aveva registrata all’anagrafe con l’infelice nome di Befana e poi lasciata alle suore, prima della successiva adozione, che le aveva aperto le porte dell’alta società sarda.
Intorno al bizzarro trio ruotano i personaggi minori, come la governante e il vicino di casa, e perfino il gatto Mìccriu, considerato il più intelligente del mondo ma in realtà incapace di catturare un topo, a conferma di una visione distorta delle cose, che aggiungono sale e pepe alla vicenda, perché è proprio con le loro spinte e controspinte narrative che, gattopardescamente, tutto cambia, ma, in realtà, alla fine della storia, tutto resta sostanzialmente come prima, governato da un destino che inchioda inesorabilmente chiunque, limitando il libero arbitrio, rendendo sterile ogni fatica.
Dal punto di vista stilistico la Agus, che i lettori più attenti faranno bene a tenere d’occhio, ha l’unico torto di scegliere, a volte, l’aggettivo più scontato, ma il ritmo della sua personale affabulazione resta piacevole, efficace e soprattutto letterario, anche quando sconfina nei territori, ormai immancabili e consolatori, dell’erotismo puro, oppure quando indugia nelle descrizioni (“… perché a Cagliari non ci si annoia mai? Dipende dal fatto che è verticale, con le sue salite e discese e tanti punti di vista e passaggi repentini dal buio alla luce e cambiamenti di colori secondo il vento che una vita non ti basta per conoscerli tutti”). È questo un libro bello perché lieve, tragicomico, senza pretese di stupire a tutti i costi con effetti speciali o trame pirotecniche.
In buona sostanza la donna di ricotta, o meglio: la contessa, è un personaggio ben riuscito, a tratti surreale come alcuni personaggi futuristi di Aldo Palazzeschi (es. l’uomo di fumo de “Il codice di Perelà”, la cui unica parte visibile è rappresentata dagli stivali che indossa) un antieroina che conquista i lettori proprio per l’inadeguatezza palesata di fronte a un mondo sempre più veloce, competitivo, tecnologico, nevrotico. Impossibile non immedesimarsi con lei, non riconoscersi in taluni suoi impacci, non specchiarsi nelle sue umane insicurezze.
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