Cosa tiene accese le stelle

di / 13 luglio 2011

Mario  Calabresi  non ha la vena beffardamente polemica di Montanelli, né il brusco cinismo montanaro di Giorgio Bocca e nemmeno l’imperturbabile perfidia di Enzo Biagi.

Non ha nemmeno l’aplomb britannico e la bonomia tagliente di Piero Ottone.

Non potrebbe essere altrimenti,è  figlio degli anni 70 e da quelli  è stato segnato come pochi qui in Italia, inutile ricordare quando e come.

Ma fra le tante voci sgangherate e, a volte, talentuose  che invadono i media nazionali contemporanei, la sensazione è che tra vent’anni chi vorrà scrivere un riassunto di quest’epoca sfortunata che stiamo vivendo è a lui che dovrà fare riferimento.

‘Cosa tiene accese le stelle’ è un saggio sul presente italiano,  con un occhio ben documentato al passato e la tenace convinzione che rinunciare al futuro  sia l’errore più tragico per un giovane, nonostante l’evidenza  di un’Italia demotivata e sfiancata da malgoverno, crisi e corruzione

Sapiente la scelta dei personaggi chiamati dall’autore a testimoniare sulla realtà dei fatti, da Roberto Benigni e Franca Valeri a Umberto Veronesi, Massimo Moratti e tanti altri personaggi noti e meno noti tra cui spicca l’intelligenza sempre acuta e lungimirante del sociologo Giuseppe De Rita.

Una frase mi ha colpito più di tutte ed è quella che Calabresi sente pronunciare da Lorenzo Cherubini, già Jovanotti, a metà di un concerto, citando il rettore di Harvard: “ I migliori allievi di questa università non sono quelli che escono e trovano un lavoro,ma quelli che escono e si inventano un lavoro”.

Peccato che al momento il nostro disgraziato paese sia chiamato, come massima aspirazione, a combattere per il “Mattarellum” contro il “Porcellum”. Ma il libro di Calabresi è di quelli che fanno bene al cuore, un iniezione di moderata positività in tanto strepito non fa male, anzi, serve come il pane.

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