Montedidio

di / 21 luglio 2011

Un luogo è il protagonista vero della storia. E le emozioni che da quel luogo nascono.
Poche pagine, capitoli brevi ma incisivi.
Ritmo incalzante, veloce, pieno di frasi e parole in napoletano stretto che catturano il lettore in un vortice che lo trasporta direttamente a Montedidio, quartiere di Napoli in cui la vita non è certo facile, ma è vissuta intensamente. Una Napoli affascinante, fatta di vicoli stretti e alti, una città ribelle e silenziosa, piena di suoni, di odori, di colori. Una città dove viaggiano sullo stesso binario i fantasmi del passato e la voglia di futuro.
Tra questi vicoli, in un dipinto perfetto di vite intrecciate tra loro, ne emerge una: quella di un ragazzino di tredici anni che, per guadagnarsi la vita, lavora presso la bottega di un falegname, Mast’Errico e che, contemporaneamente, sta imparando l’italiano, sforzo notevole in una Napoli che è un mondo a parte, con le sue regole e con la sua lingua: «L’italiano è una lingua senza saliva, il napoletano invece tiene uno sputo in bocca e fa attaccare bene le parole».
Proprio la dicotomia lingua ufficiale/dialetto è un punto cardine del libro: il ragazzino scrive un diario personale in italiano, ma vive e pensa in napoletano, chiaramente lingua della vita vera.
Nella bottega del falegname conosce un vecchio calzolaio ebreo, don Rafaniello, angelo  che  nasconde  le  ali  nella gobba, giunto per caso a Napoli (in realtà cercava Gerusalemme), che diventerà il suo amico speciale. Un amico che lo porterà lontano con la fantasia dei suoi racconti, che lo farà volare con la magia delle parole, aprendogli la mente.
Gli insegnerà a pensare, a riflettere sulla gente e a fargli avere fiducia nei sogni, regalandogli la forza di renderli reali: il ragazzino, infatti, alla fine, il suo sogno lo realizzerà sul serio, quando, la notte di capodanno, tra i cocci rotti di vecchi vasi e di piatti, tra le luci dei fuochi d’artificio e il rumore dei botti della festa, il suo pezzo di legno magico, un boomerang, volerà sui tetti di Montedidio dopo molte ore di allenamento, in un urlo liberatorio che segnerà il suo passaggio all’età adulta.
In questo microcosmo inoltre, il ragazzino scopre l’amore per Maria, “l’ammore” quello vero, quello con la doppia “m”, quello che ti fa capire di esistere:
«Maria dice che io ci sto e così ecco qua me n’accorgo pur’io che ci sto. Mi chiedo da solo: non me ne potevo accorgere per conto mio di esserci? Pare di no. Pare che ci vuole un’altra persona che avvisa».
Il racconto è tutto narrato in prima persona dalla voce del ragazzino, voce dotata di un’intelligenza acuta seppure innocente e ingenua, propria di un adolescente che si apre al mondo, piena di belle considerazione tutt’altro che scontate. Sotto l’apparenza di un romanzo delicato, si legge il dolore, la morte, la fatica, la sopraffazione, la ribellione. Dentro di sé queste pagine hanno la forza della disperazione, la tenacia dei sogni, la bellezza della vita vissuta e il brivido del relazionarsi con gli altri. Non è facile raccontare un libro come questo, perché è un libro che vive di emozioni, che diventa un libro diverso per ognuno, che fonda ogni sua riga sulle sensazioni da trasmettere al lettore. E De Luca ci riesce, come sempre, magistralmente.
Montedidio è un romanzo che si fa vivere, che si legge in un attimo ma che resta dentro. 

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