“Piazza d’Italia” di Antonio Tabucchi

di / 9 novembre 2011

Piazza d’Italia è il primo libro di Antonio Tabucchi, un romanzo che scovai alla Feltrinelli di Milano quando avevo vent’anni e cercavo nei libri un dialogo con tutta una serie di valori che mi portavo e mi porto dentro. Nei libri, soprattutto a quell’età, si cerca l’exemplum, un modello di moralità che possa darci il la per continuare il cammino della crescita e del miglioramento interiori. Ero affamato di storia e l’occasione era ghiotta anche perché, il libro d’esordio di Antonio Tabucchi è un’incursione nella storia e nella memoria. Nella storia con la esse maiuscola, ma anche nella microstoria che, attraverso una saga familiare, investiga la storia ufficiale, la racconta e propone uno stimolante faccia a faccia tra chi la storia la fa e chi subisce. I nomi dei personaggi sono quantomeno bizzarri (Quato, Garibaldo, Asmara et cetera) e gli aneddoti saporosi. Per certi versi, si respira l’aria affabulata e realistica di Cent’anni di Solitudine di Marquez, ma dal gusto tutto italiano. Sullo sfondo c’è un borgo toscano, il mondo contadino con i suoi valori e una famiglia anarchica raccontata in tre generazioni successive, un affresco che ahimè sembra scolorirsi sempre più davanti all’avanzare di una civiltà globale che tende a uniformare ogni tipicità e sfumatura. Si tratta, ce lo dice l’autore stesso nel sottotitolo, di una favola popolare in tre tempi, tempi che corrispondono alle tre generazioni di una famiglia toscana ma anche a tre differenti età del nostro ancor giovane Paese. Il luogo delle vicende è chiamato semplicemente Borgo, a indicare l’universalità ma anche la ristrettezza dell’ambientazione. La cosa non è casuale, anche perché se la favola è “popolare” e un piccolo comune era sicuramente il luogo più adatto per raccontare le vicende del popolo, ovvero i fatti in piccolo. Questo primo gioiello di Tabucchi risente, in definitiva, del gusto romantico del folklore e della dialettica novecentista della satira politica, più precisamente nella dialettica della contrapposizione tra potere e istinto di libertà. Le protagoniste femminili, un po’ come succede in certi libri di Cassola, sono donne emancipate, coraggiose e fiere. Gli uomini sono, invece, generosi, testardi, idealisti e con un grande spirito di abnegazione. In breve, sono dei puri. Il nemico è sempre il potere, il padrone, per inciso lo Stato. Lo Stato nelle sue diverse età e gerarchizzazioni sociali. Il Re, prima, il regime fascista poi e la neonata Repubblica, infine, rappresentano i tre stadi di attese e malcontento cui la famiglia di Borgo ha dovuto far fronte. Il tono della satira, sottile e affabulato, è sempre costruttivo. Benché breve e frastagliata, la narrazione risulta corale e accorata, scandendo con precisione ogni voce con chiarezza e precisione. Leggere Piazza d’Italia oggi, a quarant’anni dalla prima pubblicazione, significa ri-scoprire un’Italia ormai perduta, rintracciabile solo negli annali, immedesimarsi in una storia che è soprattutto nostra, ma che è anche la metafora universale della manzoniana contrapposizione tra oppressi ed oppressori. La memoria, oltretutto, è un tema sempre caldo e un fondamento pedagogico su cui si dovrebbe fondare ogni civiltà. Ai lettori più giovani, mi sento di consigliare di lasciarsi trasportare dall’atmosfera del romanzo, di provare ad immaginare le sensazioni che provano i protagonisti indagandone le sensazioni più intime. Così facendo, riusciranno ad apprezzare il libro in toto uscendone indubbiamente più arricchiti interiormente. D’altra parte, come sostiene Daniel Pennac, «immaginare non è mentire». Buona lettura.

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