“Quando le volpi si sposano” di Rossana Carturan
di Fernando Bassoli / 18 novembre 2011
Non conoscevo bene quest’autrice e devo dire che il suo romanzo Quando le volpi si sposano, finalista al Premio Carver 2011, è stato davvero una piacevole scoperta.
Fin dai primi capitoli
È proprio in questo equilibrio espressivo che riconosco il talento dell’autrice, la quale cambia ambientazione con disinvoltura ˗ passando dall’Agro pontino a Parigi ˗ e dà ai propri personaggi nomi spesso coerenti alla loro anima.
Il libro, che si presta a una trasposizione cinematografica, narra, tra colpi di scena e dissolvenze incrociate, la storia di una donna, Margherita, che viene spedita in collegio a soli sette anni, per non fare la stessa fine della madre (leggendolo si capirà di più).
Quando, molti anni dopo, torna a casa di nonna Esmeralda, detta
Tutto deve restare com’è, almeno in apparenza.
Le inquietanti scoperte che seguiranno sono forse da interpretare come metafora della complessità dei singoli, che proprio nel relazionarsi agli altri spesso svelano il lato oscuro che si nasconde in ognuno di noi. “Chi siamo veramente?” viene da chiedersi. Rispondere non è semplice.
Pagina dopo pagina, il lettore ha la costante sensazione che qualcosa di straordinario possa accadere, anche per effetto di alcune brillanti trovate, come quella che dà il titolo a questo lavoro, ma in buona sostanza la partita si gioca tutta sul rapporto psicologico tra i personaggi, come il conflitto tra la lieve e candida Margherita (nomen omen) e l’arcigna, conservatrice nonna Esmeralda.
Se sulle spalle di quest’ultima pesano le vicende scabrose di un’esistenza fatta di poche ma incrollabili certezze, negli occhi della nipote ˗ la donna nuova, colei che porta con sé il vento del cambiamento, coi rischi del caso ˗ brilla la luce della curiosità verso un futuro da scoprire giorno dopo giorno.
Ma forse è la mano del destino che la manda a riscattare figure come Peppina, la figlia folle di Esmeralda, che muore a tavola dopo avere vissuto per 60 anni confinata nella “stanza azzurra”. O come Assunta, bella ma illibata e (forse proprio per questo) nevrotica. O la giovanissima Irene che sogna (inutilmente) di partecipare a una trasmissione per guadagnare tanti soldi e vivere il classico quarto d’ora di celebrità. O la terribile, ricca zia Diamante, abile a muoversi tra lecito e illecito, appassionata di corse di cavalli clandestine.
A sanare la frattura tra due visioni pericolosamente opposte non potranno che essere i buoni sentimenti, perché se nemmeno il vento riesce a scalfire la roccia (Esmeralda) è anche vero che a volte un “Ti voglio bene” autentico vale più di mille parole ragionevoli, ma aride.
è forse questa mancanza di certezze che rende la vita una corsa verso l’ignoto, perché odio e amore sono due fiumi che si incontrano e si lasciano senza sosta, lasciando in bocca il sapore amaro dell’indefinibilità dei rapporti. Ma, a ben guardare, vecchiaia e giovinezza sono solo due facce della stessa medaglia: l’una non ha senso senza l’altra, perché una medaglia con una sola faccia non ha valore e sostanzialmente non può esistere.
A voler fare i pignoli, l’unico limite che posso trovare a Quando le volpi si sposano è la mancanza di un personaggio maschile più forte, che avrebbe (forse) aggiunto sale e pepe a una storia raffinata, molto al femminile. Che sia lo spunto per un seguito?
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