“Mio nonno è morto in guerra” di Simone Cristicchi

di / 13 marzo 2012

Succede che nel 2012 arriva un libro che non ti aspetti. Succede che con una laurea in Lettere, che significa, tra le tante cose, aver letto Malaparte e Vittorini e pagine e pagine di manuali di storia, e con dei nonni nati negli anni ’20 che nei dopopranzi festivi ti raccontavano sprazzi delle loro gioventù (e non stavi tanto a dare peso alle loro parole, quanto alle loro facce, perché non arrivavi a comprendere fino in fondo quegli occhi lontani, persi dietro un ricordo), credi di aver conosciuto il possibile. Succede, invece, che proprio con questo libro che non ti aspetti il confine di ciò che si conosce si sposta in avanti, di qualche voce. Di qualche racconto ancora.

Sono cinquantasette i racconti, per la precisione, che Simone Cristicchi pubblica con Mondadori in Mio nonno è morto in guerra.

L’autore non è nuovo alla narrazione: a partire infatti dalle canzoni, proseguendo con il teatro e arrivando fino ai racconti, Cristicchi rivela così la sua cifra distintiva. Essere un narratore, in versi su un palco, e in prosa tra le pagine di un libro. Tracciando un solo filo conduttore: le emozioni. 

Mio nonno è morto in guerra, raccoglie storie e voci di chi ha attraversato, o meglio, è stato attraversato dalla seconda guerra mondiale. È un libro che a partire dal titolo svela il doppio fondo della storia, privata e pubblica (sempre ammesso che sia ancora possibile distinguerla). 
Il nonno di Cristicchi, infatti, come scopriamo dal primo racconto, non è morto in guerra, anzi è stato uno dei pochi reduci della campagna di Russia, con un principio di congelamento ma salvo.
Il titolo perciò, assume un’accezione più ampia e profonda ben spiegata dall’autore in un brano che anticipa i racconti: «…ché in guerra se non morivi fisicamente moriva qualcosa dentro di te».

Cristicchi ha raccolto le storie, che ci consegna in questo libro, girando l’Italia con la sua tournee teatrale e live. Cercando e ascoltando le storie di uomini e donne che negli anni ’40 erano bambini o ragazzi, prima dei soundcheck o delle prove in teatro. Attingendo alcune storie anche dalla “Banca della Memoria” e scoprendo posti di cui la maggior parte di noi ignora l’esistenza come il Magazzino 18 di Trieste, deposito delle masserizie dei profughi Istriani.

I racconti sono abbastanza brevi, quasi dei primi piani dentro le vite dei testimoni. Delle tranche de vie, singoli episodi tragici e tragicomici. La bellezza di questi racconti consiste nel riuscire a esprimere il massimo drammatico nel minimo drammatico, nel rappresentare il senso dell’orrore come della speranza nella dimensione della concretezza della vita vissuta.
«Gli eroi di cui ci hanno parlato a scuola non sono altro che uomini come noi che si ritrovano in trincea, ma bisogna chiamare eroe anche chi, con il cuore gonfio di angoscia, ha avuto la forza di cercare il dolore di un congelamento ai piedi pur di tornarsene a casa».

I racconti non sono il frutto di una semplice trascrizione di ore e ore di registrazione delle persone intervistate, ma sono stati rielaborati e filtrati dalla sensibilità dell’autore. Autore che però lascia la scena ai testimoni, scomparendo dentro la scelta di una narrazione omodiegetica. Sono tutte storie enunciate in prima persona, fatta eccezione per il racconto “Il rancio del re”. Sono tutte storie narrate con uno stile semplice, senza orpelli né retorica. Lo stile è come se si autodeterminasse a seconda della vicenda focalizzata dal racconto.
Racconti che ancora gridano rabbia per un dolore gratuito e inutile e, per contraltare, bisogno di leggerezza per sopravvivere.
Capita di imbattersi in storie come “Il segreto del lago”, e assistere a una villeggiatura che si trasforma in una carneficina, o come “I cavalli”, in cui la perspicacia salva dall’ottusità; e ancora storie d’amore a lieto fine come “Lettere dal fronte” e “I baci senza sapore”; storie d’amore immortali come quella di “Rodolfo e Giggetta”.

Questi racconti hanno il pregio di non voler giudicare, di non essere faziosi, non sventolare la bandiera di questo o quello schieramento. Cristicchi, col suo modo di raccontare senza reticenze e al tempo stesso delicato, riesce a offrici un punto di vista dal quale è impossibile tirare una riga netta tra buoni e cattivi. Esistono solo uomini e donne giuste, al di là delle etichette di amici o nemici. Come leggiamo nella storia di Augusto, riuscito a fuggire, e diventare anziano, «grazie a un nemico che ha fatto finta di non vedere».


(Simone Cristicchi, Mio nonno è morto in guerra, Mondadori, 2012, pp. 166, euro 16)

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