“Il libro di Mush” di Antonia Arslan

di / 27 marzo 2012

Un libro che parla di un libro. Un libro che parla di un libro che è molto di più di un libro. Un libro che è qualcosa da custodire, con gelosia, nonostante intono a noi tutto stia crollando.
Un libro che è sentimento, amore, fede. L’anello di congiunzione tra quello che si è stati, si è e si sarà. Per questo va difeso con tutte le forze.
Si tratta di un testo sacro, è ovvio. Il testo sacro del popolo armeno, attualmente esposto al Matenadaran, nel Museo dei manoscritti antichi di Yerevan: il Msho Charantir, per essere precisi. O anche Il libro di Mush come lo chiama, italianizzandolo, Antonia Arslan che ne ha scritto “l’ultima storia” nell’ottimo volume omonimo pubblicato da Skira (curatissimo come sempre).
Il Msho Charantir è un’opera preziosa: per il contenuto e per le incisioni e le miniature che lo rendono unico. C’è moltissimo lì dentro: e lo sanno i protagonisti che lo vogliono salvare, nonostante pesi ventisette chili e mezzo e che di guai non ne ha portati certamente pochi.

Ci troviamo in una pagina di storia. Anno 1915. C’è un lago ed è il lago di Van, non saprei neanche trovarlo su una cartina geografica. C’è un fuoco che ci manda contro le sue braccia-fiamme. C’è un telo nero che non ci vuole far vedere ma che quando va via si porterà con sé cento, mille, centinaia di migliaia di donne, uomini, bambini sterminati. 
Possono morire gli uomini (ed è un genocidio, quello armeno, troppe volte dimenticato dai libri di storia delle nostre scuole), persino i popoli, ma non la loro memoria.
L’ultimo alito vitale, sopravvissuto a tutto, va custodito con forza. Come la fiamma olimpica non si deve spegnere, le radici non si devono estirpare.

Noi ci appelliamo a questa speranza: al racconto prima, al mito poi.
Ci facciamo condurre per mano dall’autrice in un luogo di cui non sappiamo niente a osservare creature meravigliose, titani, eroi ed eroine. E non ci perdiamo: tutto grazie a pagine di rara bellezza, poesia cristallina, quella che solo le voci d’oriente sanno trasformare in condivisa stereofonia.
Osserviamo e osserviamo ancora, immobili. Vorremmo cercare, noi, di portare in salvo questo libro, come se si trattasse della nostra terra, della nostra storia, della nostra fede. Della nostra memoria.
Vorremmo stringere Anoush e Kohar, unirci alla loro forza, alla loro resistenza, al loro libro-talismano per “restare insieme”. Ma non possiamo fare niente, noi, se non assistere inermi e in silenzio.


(Antonia Arslan, Il libro di Mush, Skira, 2012, pp. 129, euro 15)

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