“Fahrenheit 451” di Ray Bradbury

di / 16 giugno 2012

«Era una gioia appiccare il fuoco.
Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Con la punta di rame del tubo fra le mani, […] le sue mani diventavano le mani di non si sa quale direttore d’orchestra che suonasse tutte le sinfonie fiammeggianti, incendiarie, per fra cadere tutti i cenci e le rovine carbonizzate della storia».

Incipit “incendiario” – è proprio il caso di dirlo – questo di Fahrenheit 451, il capolavoro di Ray Bradbury, autore americano scomparso qualche giorno fa, alla veneranda età di novantadue anni. Un inizio che accende subito la mente del lettore, che non lascia dubbi sulla potenza evocativa di queste pagine. Una potenza evocativa che però lascia l’amaro in bocca perché già si percepisce che qualcosa non va secondo i canoni, che, anzi, i canoni sono rovesciati e accadono cose che non dovrebbero accadere. Ed è forse questo uno dei sensi ultimi di quella che viene chiamata distopia o utopia negativa, cioè il fatto di percepire l’indesiderabile, esserne disturbati senza rendersi conto, se non alla fine, dell’estremo negativo a cui si sta giungendo, storditi quasi dai continui rimandi a realtà oniriche. Così, pagina dopo pagina, aumentano il disorientamento e l’inquietudine, e ci si trova frastornati come accade nei secondi subito successivi al risveglio da un brutto incubo, in cui non si è certi di cosa non vada, di quale sia la realtà e la finzione.

Libri bruciati e banditi, maxischermi come famiglie virtuali, finestre senza balconi per impedire l’amichevole consuetudine delle chiacchiere estive e la nascita di opinioni personali, una natura “a chiazze”, invisibile agli occhi degli automobilisti intenti nella routine delleloro vite. Queste le caratteristiche essenziali della realtà fantascientifica in cui Bradbury fa agire il pompiere-incendiario Guy Montag, con la sua salamandra disegnata sull’uniforme, il suo elmetto nero con sopra inciso il numero 451 (Faharenheit 451 indica la temperatura alla quale brucia la carta, corrispondete a circa 230° centigradi) e la sua voglia di bruciare, ardere ogni cosa, libri soprattutto,veri e propri scrigni di memoria collettiva. Il pompiere-incendiario che brucia i libri è uno degli elementi distopici principali che incontriamo: sfido chiunque a non riconoscere come simbolo positivo – uno dei pochi rimasti – la figura del vigile del fuoco, colui che “sorveglia” l’incendio per noi, fino a farlo spegnere. Nel mondo al contrario di Bradbury non va proprio così e il dialogo fra Montag e la giovane Clarisse McClellan, la stramba vicina di casa, colei che darà inizio alla “conversione” del protagonista, è a tal proposito memorabile: «“Mi permette una domanda? Da quanto tempo lavorate agli incendi?” “Da quando avevo vent’anni, dieci anni fa. […] È un bel lavoro, sapete. Il lunedì bruciare i luminari della poesia, il mercoledì Melville, il venerdì Whitman, ridurli in cenere e poi bruciare la cenere. È il nostro motto ufficiale”». E poco dopo il paradosso arriva all’eccesso: «È vero che tempo fa i vigili del fuoco spegnevano gli incendi invece di appiccarli?” “No, è una leggenda. Le case sono sempre state antincendio, potete prendermi sulla parola”».

L’incontro con la giovane Clarisse e altri episodi che lascio a voi scoprire insinueranno il dubbio nella testa di Montag che inizierà a incuriosirsi, a leggere e nascondere libri, fino a sconvolgere la sua vita. Il finale, nonostante tutto, è catartico: non potendo custodire i libri, i ribelli decidono di trasformarsi in vedere e proprie biblioteche umane, imparando a memoria per intero opere condannate alle fiamme.

Fahrenheit 451 è un libro straordinario dalla prima all’ultima riga. Un libro, che quando fu pubblicato, nel 1953, poteva sembrare soltanto un racconto fantascientifico sull’anti-utopia di un futuro ipertecnologico oppresso da un silenzioso regime, ma che oggi appare, invece, per certi versi, spaventosamente affine alla nostra realtà.

Della storia esiste anche una trasposizione cinematografica dal titolo omonimo, per la regia di François Truffaut.


(Ray Bradbury, Fahrenheit 451, trad. di Giorgio Monicelli, Mondadori) 

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