“Parlo dunque sono” di Andrea Moro

di / 21 giugno 2012

Da Adamo in poi è connaturato all’uomo, quasi consustanziale, riflettere sulla prerogativa che lo distingue dagli altri agenti della vita sul pianeta: il linguaggio. Ecco che Andrea Moro ci conduce, allora, con quest’agile libretto che non si legge d’un fiato, tale è la densità dei contenuti profilati, in un viaggio attraverso il meglio di ciò che i migliori, dal Creatore alla più brillante, a oggi, delle sue creature (Dio e Chomsky, bizzari Alpha e Omega…), hanno ritenuto andasse detto e condiviso sulle lingue e la loro prerogativa (eco del carattere primo del Fattore?) di saper plasmare anime, intelligenze, coscienze, saperi.

Un libro che parla di libri, e qui sta il pregio: di sintesi, per capacità di rendere in pochi ma non scarni paragrafi il senso di riflessioni condotte per tomi e anni; di condivisione e necessario appello all’enciclopedia del lettore, poi, perché tutto sono queste pagine tranne che un compendio alla Bignami o una serie di glosse inanellate. Meglio non approcciare, se dell’autore (mancano le autrici: limite della storia dell’umanità o errore prospettico?) poco si sa o quasi nulla; meglio assai far precedere al capitolo dedicato almeno una scorsa a un profilo biografico o una sintesi del pensiero (lo ammetto, per un paio ho dovuto io anche) perché non è, questo libro, indirizzato alla divulgazione. Proprio no. Semmai, orientato è a svelare quanto altro e oltre esista al di là delle facili categorie che presiedono alla percezione dei più che una lingua, quale essa sia, possa ridursi (eppure serve, o non le apprenderemmo né da bimbi né da adulti) agli schematismi delle grammatiche o le rigide momentizzazioni di valore assoluto in dizionari e phrasebook.

Il progredire del sapere linguistico pare, filtrato dalle esperte maglie (accademiche, ma non sembra: mai saccente, mai pedante) di Moro, una sequela di smentite degli assunti sanciti con dovizia di dettaglio in precedenza. Un gioco, quasi, di svelamenti di criticità e di aperture al nuovo di contenuti e prospettive d’analisi. Con però qualche, e qui sta il bello del rapsodico progredire della umana conoscenza (le spalle, i giganti…) strabiliante riaffioramento che anche data, non rare volte, secoli addietro. Lo si sfoglia spesso anche al contrario, questo volume, fatto si direbbe (merito sommo di una scelta anti-narrativa e a-deterministica) per essere compulsato e, perché no (lo faceva anche Boccaccio, coi trattati a lui più cari, e dove non potevano parole supplivano i disegni), chiosato e anche notato.

Come i migliori libri, in mano a lettori non da meno.


(Andrea Moro, Parlo dunque sono, Adelphi, 2012, pp. 104, euro 7)

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