“Gli scheletri nell’armadio” di Francesco Recami

di / 9 luglio 2012

È arrivata l’estate, con un po’ di ritardo, ma sta recuperando terreno con “Caronte” e “Minosse”. Infatti, ce ne siamo accorti tutti, penso, la colonnina di mercurio, come dicono gli esperti, quelli bravi, è salita vertiginosamente in tutta Italia. E per gli sfigati rimasti in città durante i giorni feriali si boccheggia. Ma nel week end orde di coraggiosi, armati di ombrelloni, sdraio, ciambelle, tavolini da picnic e panini imbottiti della immancabile fettina panata, come si usa dalle mie parti (giusto per lasciare leggeri i pupi così possono fare il bagno e prendere una congestione per bene…), si incolonnano sulle strade del mare in cerca di refrigerio e rilassamento. E allora cosa c’è di meglio, una volta raggiunto il nostro agognato posto al sole, che portarsi da leggere un bel giallo, magari leggero e brillante?

Gli scheletri nell’armadio di Francesco Recami (Sellerio, 2012) è un giallo sui generis. Non ci sono morti ammazzati, né sangue versato. Ci sono degli scheletri, sì, ma non si sa a chi appartengano e hanno una particolarità che verrà svelato solo alla fine. Chi indaga su di essi non è né un commissario, né un poliziotto o un investigatore privato con licenza di uccidere, bensì un semplice tappezziere in pensione, vedovo, appassionato collezionista di articoli di cronaca nera, alle prese con i capricci dell’amato nipotino Enrico e la scomparsa del suo Bubu, con la gelosia e la ferrea disciplina della figlia e con il bisogno di raccontare le proprie memorie della vicina d’appartamento, con cui ha un intrallazzo amoroso. Non ci sono inseguimenti, né sparatorie, il ritmo non è incalzante ma lento e compassato. Lo scenario poi è assolutamente statico. Anzi il vero protagonista del romanzo non è un individuo, ma un condominio con i suoi inquilini pieni di magagne e un po’ pettegoli. La casa di ringhiera, in cui «oscuri destini si intrecciano», è un tipico caseggiato della periferia milanese con le sue corti ed è anche il titolo del primo romanzo uscito nel 2010. Con questo secondo, infatti, si inaugura una nuova serie noir. I riferimenti a La casa di ringhiera e al delitto della Sfinge di Lentate, risolto dall’Amedeo Consonni, questo il nome dell’ex tappezziere, sono del resto frequenti ne Gli scheletri nell’armadio, senza che ci vengano svelati i fatti e relative soluzioni (dunque se partite, come me, dal secondo romanzo e vi piace, non potete non procurarvi anche il primo).

Sotto la lente indagatrice, a volte meschina, più spesso compassionevole, del narratore onnisciente, che ne sa più dei personaggi, tanto da essere il solo depositario del disvelamento finale, scorrono, nelle sei giornate in cui si svolgono gli avvenimenti, grigie esistenze confinate entro il microcosmo della casa di ringhiera con i suoi ballatoi a fare da luoghi di appuntamenti e incontri.

I condomini sono i tasselli di una commedia umana che riflette il tessuto sociale, popolare o piccolo borghese, di un’Italia contemporanea eppure pervasa da un’atmosfera d’antan vagamente anni ’50-’60. C’è la ficcanaso, che dalla sua finestra tiene sotto controllo tutti alla ricerca di scandali da rotocalco, ma che vive nel terrore di una visita fiscale che scopra la sua falsa invalidità. Ci sono la giovane avvenente divorziata, l’informatico alcolizzato lasciato dalla moglie, l’anziano appassionato di auto che si lascia sedurre da una BMW Z3 3.2 24 valvole, tradendo la sua Opel, e finirà vittima di un raggiro da parte di un parente, l’insegnante in pensione alla ricerca di un’anima che ascolti la sua storia.

Con la leggerezza dell’ironia, Recami ci parla di vite che con il passare del tempo sono diventate sempre più infelici, sprofondando in uno stato di tacita irritazione verso se stessi e gli altri, o magari perché hanno capito che il matrimonio e i figli non portano solo gioia, ma possono diventare un peso. Nella sua indagine sugli scheletri recapitatigli in casa in una angoliera da un suo ex collega di lavoro, Consonni si troverà a far visita a persone ancora dolenti per lutti lontani nel tempo eppure ancora vivi nelle loro menti e nei loro cuori, come sospese in un limbo in cui rimanere inchiodati infinitamente al proprio dolore.

Questo giallo all’italiana in cui i detective sono figure anomale, racconta anche di una città, Milano, con la sua gente e le sue atmosfere. L’autore compone un vivace affresco, non disdegnando l’uso di inserti dialettali tra un parlato pacato e affabile e uno humour alla Andrea Vitali.

Recami sembra divertirsi nello smontare e rimontare le ipotesi che via via Consonni elabora, rivelando solo alla fine e unicamente ai lettori la fallacia delle sue deduzioni. La verità non esiste, esistono tante verità di cui ognuno è portatore, come diceva Pirandello in Così è (se vi pare).

È forse questo aspetto originale e spiazzante a lasciare la sensazione di qualcosa di non concluso e irrisolto che magari verrà svelato nella prossima puntata. To be continued


(Francesco Recami, Gli scheletri nell’armadio, Sellerio, 2012, pp. 232, euro 13)

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