“Sinapsi” di Matteo Galiazzo

di / 1 ottobre 2012

Che fine ha fatto Matteo Galiazzo? Proprio lui, Matteo Galiazzo il “cannibale”. Il suo ultimo libro, Il mondo è posteggiato in discesa (Einaudi, 2002), risale a dieci anni fa. Da allora, fatta eccezione, rara, per pochi racconti pubblicati qua e là su riviste, Galiazzo è scomparso. O meglio, era scomparso. Perché qualche mese fa è tornato in libreria grazie a una giovane casa editrice milanese, che ha deciso di raccogliere – riesumare, in realtà, sarebbe la parola corretta – ventidue racconti dell’ex-scrittore «sinora rilegati su piccole riviste indipendenti o scovati direttamente nei cassetti dell’autore», con tanto di commento finale nell’ottima intervista di Matteo B. Bianchi (“Un pensionato che guarda i cantieri”) in appendice. Nasce così Sinapsi – Opere postume di autore ancora in vita, pubblicato lo scorso maggio da Indiana, all’interno della collana I lucci.

«Mi chiamo Tony. Sono di Casella. Vi dico subito che alla fine del racconto muio, così poi non ci rimanete male. Ho le allucinazioni. Ho la lingua asfaltata. Sto a pezzi». Non c’è da stupirsi, leggendo questa raccolta, che Galiazzo sia stato considerato una «delle voci più pure e riconoscibili» dell’ondata “cannibale”. Ci sono tutti, infatti, gli ingredienti di quel pulp all’italiana così ben carotato da Einaudi Stile Libero nell’antologia Gioventù cannibale: alienazione, spasimi dissacranti e macabre epifanie. Ma anche amore psicotico, incomunicabilità, morte. Il tutto narrato con uno stile diretto, ben marcato anche se capace, continuamente, di reinventarsi, camaleontico, storia dopo storia.

Infatti, come sostiene Tiziano Scarpa nella prefazione: «Nei suoi racconti, Matteo Galiazzo diventa tutto e tutti. E ci riesce perfettamente. È la felicità e lo sgomento che si prova leggendo le sue storie […] Sull’orlo dell’abisso, è così facile cadere: e cadere significa diventare qualcun altro, precipitare nell’altrui, nell’alterità, nell’altruismo, nell’alterazione. Tutto questo succede di continuo, nelle storie di Matteo Galiazzo».

Nascono così racconti memorabili come “Il ferro è una cosa viva”, illuminante tanto per l’episodio raccontato quanto per la tecnica narrativa, “Sedici gradazioni di nero”, che non ha nulla a che fare, ovviamente, con i discutibili romanzi di E.L. James o, ancora, “Apocalisse di Solentiname”, «una sorta di cover letteraria di Cortázar». Per non parlare dei racconti d’amore, o quasi, come “Deodorante” e “Amore”, così vivi e pulsanti da lasciare secco il lettore al solo immedesimarsi nei personaggi.

Sorprende, infine, la bravura di Galiazzo nel descrivere aspetti della realtà che, anche oggi come allora, caratterizzano questo nostro essere italiani sempre in crisi, capaci di vivere la vita a metà tra il comico e il tragico, costantemente: «Capii il significato economico della parola recessione quando, un giorno, entrando nell’ufficio di mio padre, lo vidi impugnare una rivoltella e puntarsela alla tempia con fare tipicamente iperrealista. Questa immagine a effetto era rafforzata da un adeguato supporto sonoro fornito dal pianto dell’altro socio, al telefono con il direttore della banca che aveva appena ritirato loro il fido».

Un libro da recuperare a tutti i costi questo Sinapsi, per rivivere direttamente una stagione della narrativa italiana, quella cannibale, mai del tutto tramontata.
 

(Matteo Galiazzo, Sinapsi – Opere postume di autore ancora in vita, Indiana, 2012, pp. 304, euro 16,50)

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