Le scelte di Achab: a tu per tu con Giulia Ichino (seconda parte)

di / 23 novembre 2012

Ecco la seconda parte dell’intervista a Giulia Ichino, editor Mondadori per la narrativa italiana. Chiunque si fosse perso la prima parte può trovarla qui.


Zygmunt Bauman sostiene che una delle conseguenze della liquidità della nostra società è l’assottigliamento del nostro livello di attenzione e d’interesse reale per il nuovo. La nostra fame di novità ci spinge a correre sempre più velocemente, per tentare di vedere di più, possedere di più, rendendo il tempo l’unica unità di misura del valore. Più il nostro livello di attenzione verso un particolare evento resiste nel tempo, più quell’evento, oggetto, persona ha valore. Questo sembra avvenire anche per i libri. Il problema è che oggi un libro deve aver successo subito, altrimenti è spacciato e relegato nei ripiani più bassi e angusti delle librerie, secondo le ferree regole dello shelving. Ma cosa vuol dire subito? Un giorno? Una settimana? Un mese?

È una cosa molto vera, anche se sono molti gli autori che con pazienza e perseveranza sono arrivati a ottimi risultati di critica e di vendite. Settimane direi di no. Certo i tempi ora sono accelerati, per l’informazione, per l’editoria, per il commercio. Noi sappiamo in tempo reale cosa accende le vendite, cosa che prima non accadeva. Se un libro inizia a “funzionare”, noi lo scopriamo in fretta e ciò genera una maggiore attenzione nei confronti del libro stesso. Anche qui però non ci sono regole certe: il solo, ormai notissimo, caso dello straordinario libro di Roberto Saviano, che partì con una prima tiratura molto piccola, lo dimostra.


Nel 2012 la Mondadori si porta a casa il premio Strega, vinto da Alessandro Piperno con Inseparabili, e il premio Campiello, vinto da Carmine Abate con La collina del vento. Entrambi i romanzi sono stati curati da te. Te lo aspettavi o almeno ci speravi? C’è qualcosa che accomuna i due libri? 

È difficile dire cosa li accomuna. Probabilmente in entrambi i casi c’è il racconto di una famiglia. La famiglia è sempre stata una incredibile “cellula generativa” di narrazioni, credo che il romanzo contemporaneo dovrebbe erigere una monumento alla famiglia di tipo moderno, fondata sulle sue speranze di felicità. Per il resto sono autori molto differenti, sia per stile che per background formativo, e per questo mi fa molto piacere il risultato ottenuto, perché rappresentano al meglio la diversità che è una caratteristica chiave della Mondadori.


Gli agenti. Nel nostro universo sottomarino potrebbero essere deipaguri che sanno come addolcire la piovra gigante del marketing e al momento giusto tirare fuori dal loro guscio il manoscritto da lanciare nella rete dell’Achab di turno? Ma se a vederli potrebbero sembrare tutti uguali, anche fra loro c’è chi riesce a proporre meglio i lavori dei propri autori. Allora quali consigli puoi dare a uno scrittore non affermato per proporre i suoi lavori a un agente letterario? ALI, Laura Lepri, Marco Vigevani, Grandi & Associati, Silvia Brunelli di Nabu, solo per citarne alcuni fra i più conosciuti, come scegliere a chi inviare il proprio manoscritto? Tu, per esempio, con quale agenzia lavori meglio e perché?

Il rapporto di conoscenza reciproca che si crea con loro rende il lavoro più semplice, una proposta che arriva da un agente gode di un’attenzione immediata. Detto questo, non c’è agente o editor migliore di quello che crede nell’opera che ha tra le mani con l’entusiasmo necessario a proporla, senza dimenticare di rimanere al contempo legato al contesto editoriale che fronteggia. E questo è qualcosa che anche gli scrittori dovrebbero fare. Uno scrittore deve sapere cosa gli capita attorno, cosa sta uscendo in narrativa italiana e non solo, avere un minimo senso della realtà, leggere, leggere senza sosta: editoriali, blog, libri di altri. Condividere con l’editore l’orizzonte a cui si tende è un passo fondamentale.


Parliamo ora di Giulia Ichino lettrice. Cosa ti piace leggere quando sei in vacanza, e soprattutto leggi ancora libri o sei talmente satura da riuscire ad avvicinarsi solo a Topolino? Te la senti di indicarci tre libri che avresti voluto far pubblicare alla Mondadori, ma che ti sono sfuggiti?

Leggere mi piace tanto, di solito autori dal mondo, perché leggo libri italiani tutto l’anno. Ho poco tempo per farlo, perché la macchina organizzativa editoriale ci mangia tutti gli spazi e sta a noi crearne di nuovi.

Di tutti i romanzi che amo penso che sarebbe entusiasmante averne seguito il cammino editoriale. Ma è anche infinitamente riposante vivere ogni tanto il semplice – e complessissimo – ruolo del puro lettore.


C’è un autore (anche non vivente, così non si offende nessuno) che rileggi, anche a piccole dosi, solo per trovare conforto in una giornata difficile, solo per sapere che la bellezza esiste ancora?

Mi vengono in mente tanti libri… Ma a dirti la verità non vivo con l’avvilente sensazione che la bellezza non esista più, anzi: la trovo ogni giorno tra le pagine che leggo. Nutro sconfinata ammirazione per gli scrittori produttivi e vari nella loro produzione. Mi riferisco, per esempio, a Simenon, che ha toccato tanti di quei registri di scrittura da essere vertiginoso, capace di sperimentare, di scrivere in modo fluviale, nessuna paura della narrativa di genere. Uno scrittore


Nella tua carriera hai collaborato prima con Renata Colorni, responsabile dei Meridiani Mondadori, e poi con Antonio Franchini, un punto di riferimento della narrativa italiana, soprattutto della “nuova” narrativa italiana. Com’è stato il passaggio dalla gestione di autori che hanno acquisito il diritto a entrare nell’olimpo dei Meridiani ad autori che stavano lottando per un diritto fondamentale e necessario, quale quello di vedersi finalmente “stampati”?

In realtà all’epoca in cui sono entrata qui c’era una Divisione che si chiamava “Editoria Letteraria”, in cui lavoravano insieme Renata e Antonio, che aveva in sé i Meridiani e la SIS (Scrittori Italiani e Stranieri), con una netta divisione fra la narrativa commerciale e quella letteraria, in cui ho avuto il piacere di iniziare a lavorare. Avendo a che fare contemporaneamente con grandi classici e con autori contemporanei, l’intera impostazione del lavoro era straordinaria, l’attenzione a ogni passaggio redazionale, e la cura per l’autore e la sua opera erano infiniti. Poi, a un certo punto, abbiamo iniziato a lavorare sui testi contemporanei anche con un editing creativo che con i classici non ha senso. Ma la stessa impostazione editoriale dei Meridiani – con le ormai famose “cronologie” della vita dell’autore (passate sotto la direzione di Renata Colorni da semplice scansione biografica in veri e propri pezzi d’autore da leggere anche autonomamente) seguite dai testi puri, e ancora dalle note ai testi e da tutti gli apparati – mi è servita come esercizio di “separazione” dei piani di lavoro su ogni libro e insieme come apertura di sguardo sull’infinita complessità letteraria, culturale, umana di ogni testo. La scuola di Renata è stata quella del rigore con cui avvicinarmi a quei testi, Antonio è stato più la sregolatezza creativa – lui crede molto poco nei poteri “taumaturgici” dell’editing ma poi è capace di geniali slanci nella visione, nel publishing.


E concludiamo proprio con lo scrittore, quello esordiente, quello vero, quello che legge tanto prima di scrivere tanto, partendo da un bisogno inarrestabile che però non gli fa perdere il contatto con l’universo che lo circonda. Sei pronta a dargli qualche consiglio? Lui è lì, nella sua stanzetta, ricolma di libri, il vecchio PC sulle ginocchia, la pagina bianca a fronteggiarlo. Il panico regna sovrano, ecco allora che appare “l’angelo Ichino” e gli dice…

E gli dice. Gli dice di non andare lontano da quel posto. È molto comune, per persone nella condizione che tu descrivi, scegliere tematiche che sono anni luci lontane da sé, cosa raramente produttiva. Però, ti prego, non parliamo dell’ “angelo Ichino”. Facciamolo cadere. L’editor non ha poteri particolari, è un alleato di chi scrive, una figura di mediazione. Non un angelo ma uno strumento.


Finalmente il nostro esordiente riesce a concludere il suo testo, trovando uno spiraglio fra la melma di revisioni continue cui ha sottoposto il suo mare di parole e naturalmente, quel mare, lo vuole inviare a te. Ma come fa davvero a spedire un manoscritto a Mondadori? È meglio inviare solo una sinossi e qualche capitolo o tutto il testo? E quanto tempo dovrà aspettare per capire se ha davvero fabbricato una perla?

Non mandando biscottini, per esempio. Una persona ultimamente me ne ha mandati 40, altri mi hanno mandato fiori, omaggi di ogni tipo. Tutto questo non ha senso, anzi. Per quanto riguarda la sinossi, noi non l’amiamo particolarmente, anche perché può essere controproducente per il libro.


Perché? Molti scrittori esordienti pensavano di facilitarvi il lavoro.

Perché ridurre il libro alla sua trama è rischioso e tragicomico. Il testo è il re, su quello e solo su quello basiamo la nostra valutazione. La cosa che sempre meno riusciamo a fare è motivare in modo articolato i nostri rifiuti. E comunque se un testo non ci convince del tutto ma ci sembra che ci siano le condizioni per lavorarci, allora chiamiamo l’autore e iniziamo un cammino comune.


Quanto deve essere vicino al suo autore l’editor? Penso al caso Ostuni/Carofiglio, che ha tenuto fin troppo banco nelle scorse settimane. Può capitare a un editor di “vuotare il sacco” o addirittura di dire esattamente ciò che pensa? E dovrebbe farlo?

Un editor deve essere molto vicino al suo autore. Al punto di scomparirvi dentro, per molti aspetti. Empatia è la parola chiave per un editor. Insieme all’empatia però, l’editor deve mantenere una visione realistica dell’utopia dello scrittore, fornirle strumenti ragionevoli e professionali di confronto con la realtà. Come ogni rapporto intenso, quello tra autore e editor è quasi sempre fatto di amore e fatica e scontro: più è così, più è salutare. Un editor però deve mantenere il suo ruolo e non assurgere a critico letterario dei suoi libri e tanto meno di quelli degli altri ed essere consapevole di essere in una terra di mezzo fra l’editore con la “E” maiuscola e l’immenso universo autoriale.

 


Con questo concludiamo la nostra intervista a Giulia Ichino, che ringraziamo per la sua disponibilità e per averci accolti nel suo ufficio, dedicandoci tempo, mentre riusciva, comunque e in contemporanea, a prendere decisioni sulla tiratura, impaginazione e layout della copertine, senza farci passare in secondo piano e lasciandoci adocchiare un po’ alcuni segreti del mondo editoriale.

A proposito di burlesque melvilliano di cui all’inizio, lo sapevate che nel laghetto artificiale che fronteggia la storica sede della Mondadori a Segrate, ci sono carpe giganti che inseguono piccoli pesciolini marroni? Osservandole mi chiedevo: Dov’è Achab quando ce n’è bisogno? 

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