“L’Italia di Le Corbusier” al MAXXI

di / 24 novembre 2012

Sulla scia dei Grand Tour ottocenteschi, anche Charles-Édouard Jeanneret, in arte Le Corbusier, intraprende nel 1907, all’età di vent’anni, il proprio viaggio culturale alla volta dell’Italia, da sempre meta fondamentale nella formazione dei giovani intellettuali europei. Si apre così la mostra, a cura di Marida Talamona, ospitata nel museo romano di Zaha Hadid, con l’obiettivo di testimoniare i rapporti tra l’architetto svizzero e tutti gli attori della scena artistica e culturale della prima metà del Novecento in Italia.
In questo primo iter, da subito emerge il ruolo essenziale della tappa toscana e, soprattutto, della visita alla Certosa di Galluzzo, che colpisce Le Corbusier per la sistematicità delle celle monachesche e che prefigura, in qualche modo, la sua ricerca nell’ambito delle unità abitative, volumi in cui l’individuo deve poter svolgere contemporaneamente le funzioni personali e quelle collettive. Per la prima volta vengono qui esposti gli studi sulla pianta e sulla sezione della cella, proprio a qualificare il loro ruolo paradigmatico nello sviluppo dell’architettura del Maestro. Inediti sono anche due disegni dell’Isola Tiberina, raccolti nel carnet de voyage n. 10, che vengono qui messi a confronto con “L’ile et le pont de San Bartolomeo” del paesaggista Jean-Baptiste Corot e con l’opera di Paul Cézanne e dei suoi poetici panorami.
Suggestionato dall’archeologia italiana, dagli studi di Camillo Sitte sulle città antiche e medievali e da quelli di Brinckmann su esempi rinascimentali e barocchi, Le Corbusier pubblica La Construction des Villes e nello stesso periodo, alla Bibliothèque Nationale di Parigi scopre la pianta di Roma di Pirro Ligorio, “Antiqvae Vrbis Imago”, di cui utilizzerà un frammento in alcuni articoli della celebre rivista L’Esprit Nouveau, fondata nel 1920 con l’amico Amédée Ozenfant.
Le Corbusier torna in Italia nel 1911, al termine del suo Voyage d’Orient, e nel 1921: due viaggi caratterizzati soprattutto dalla documentazione fotografica attraverso la sua Brownie Kodak, oltre che dall’inconfondibile taccuino. L’esposizione, da questo momento in poi, si carica di quel sapore personale che rende umana la figura dell’architetto, che non la celebra come inarrivabile talento, ma che la esalta come testimone dell’architettura del secolo precedente e, in generale, come uomo del passato: aspetto che viene esaltato ancor di più dalla semplicità dei pannelli espositivi in tavolato di legno, così essenziali da permettere la totale percezione delle fotografie e degli altri documenti presenti.
 


 

Passando nella sezione centrale della mostra, in cui vengono presentate le analogie pittoriche tra l’architetto e gli artisti che collaboravano alla rivista Valori Plastici, tra cui Carrà e Morandi, il percorso espositivo prosegue delineando sempre più i rapporti con la situazione socio-politica italiana: l’intensa rete di contatti col Gruppo 7 e con Alberto Sartoris, che si intensifica grazie ai Congressi Internazionali di Architettura Moderna; la mancata realizzazione delle proposte per il Palazzo Littorio, dei progetti per Pontinia e di quelli per la periferia Nord di Roma; la fitta corrispondenza con Adriano Olivetti, la visita alla FIAT di Torino nel ’34, ma ancora nessun seguito per i progetti della fabbrica di Ivrea e per la Stazione di sport invernali in Val d’Aosta.
L’osservatore ha, dunque, modo di avere un quadro ben delineato delle relazioni che intercorrono tra l’Architetto e l’Italia: l’iniziale viaggio scolasticamente obbligato, diviene da subito una continua scoperta per Le Corbusier e, in questa occasione, anche per il pubblico, che, passo per passo, tappa per tappa, può ripercorrere cronologicamente non solo l’evoluzione, bensì la formazione dello stile del maestro svizzero, attraverso i suoi modelli di riferimento e, nel caso particolare, attraverso i luoghi, le persone e le percezioni, sia culturali che naturalistiche, che l’Italia gli ha offerto.
A tal proposito, è emblematica la frase scritta al suo maestro, Charles L’Eplattenier, durante il viaggio del 1911, dopo la risalita da Napoli fino a Pisa: «L’Italia è ancora e sempre un mito»; e come mito, come realtà sacra in tutte le sue manifestazioni, come verità rivelata, essa vive nei ricordi, nei paesaggi, negli schizzi e nei progetti dell’architetto, celebrati per la prima volta in Italia nell’esposizione del 1963 a Firenze.
 


Tuttavia l’ispirazione, le relazioni e l’appoggio virtuale di una mostra non sono serviti a rendere concreto l’apporto di Le Corbusier al bagaglio architettonico italiano che tanto amava: come per alcuni suoi progetti – il Centro di calcolo elettronico di Rho, la Chiesa di Bologna e la proposta su tre livelli per l’Ospedale di Venezia – il suo rapporto con il Paese resta incompleto e irrealizzato.

L’italia di Le Corbusier.
Maxxi – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, Roma, Via Guido Reni 4.
18 Ottobre 2012 – 17 Febbraio 2013

Ulteriori informazioni:
http://www.fondazionemaxxi.it/2012/10/15/litalia-di-le-corbusier-2/

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