“Shields” dei Grizzly Bear

di / 26 novembre 2012

La composizione non è stata semplice. I Grizzly Bear si son presi tutto il tempo necessario prima di far uscire Shields.
L’acclamatissimo Veckatimest e il conseguente tour avevano spossato i membri del gruppo, che si erano presi sei mesi di pausa. Nel giugno 2011 la band si era riunita a Marfa, nel Texas, e aveva composto materiale per un album intero. Tutti i pezzi, a parte due, erano stati scartati.
Nei primi mesi del 2012 i Grizzly Bear sono tornati nella Yellow House del loro secondo album, la casa della nonna del fondatore Ed Droste a Cape Cod, Massachussets. Lì tutto è accaduto di nuovo.
Il suono del quartetto di Brooklyn era già maturo: il baroque pop pieno dei loro dischi precedenti lo dimostra e torna in grande spolvero anche in Shields.
I testi cambiano, diventano più intimi: domande senza risposta, ossessive prese di coscienza. Gli Shields che danno il titolo all’opera non sono altro che gli scudi che creano una distanza autoimposta tra le persone e ogni pezzo ne porta una testimonianza, un segno.
Oltre a essere suonato magnificamente, con volumi e arrangiamenti perfetti, Shields è un album di tensioni e dualismi. Basta prendere le uniche due tracce rimaste dalle sessioni di registrazione di Marfa, che sono anche i due singoli estratti dal disco: “Sleeping Ute”, eccelsa prima traccia, e “Yet Again” esprimono questo dualismo non radicale, un incontro-scontro di influenze e generi; imprevedibile sin dalle note iniziali e quasi prog la prima, più pop e ascoltabile la seconda, ma che termina con un’esplosione di dissonanza graffiante.
Una sintesi di musica e testi emblematica dell'intero album è anche la coppia finale, “Half-Gate” e “Sun in Your Eyes”. La prima esplode nel ritornello dopo un accumulo di tensione brillante e d’effetto; il titolo stesso parla dello shield in questione, dell’aprirsi, ma non totalmente, del concedersi a metà. Si contrappone a questa la finale “Sun in Your Eyes”, che invece parla dell’andare avanti, indiscriminatamente, con un peso sulle spalle; musicalmente rilassata e compiuta, quasi calma, ha in realtà la calma di chi va, fugge lontano. «So bright, so long, I’m never coming back» è il verso che termina il pezzo e tutto l’album.
Shields è un lavoro equilibrato e completo. I Grizzly Bear sono complementari, ma non lo fanno notare: dove termina uno l’altro riempie, complici in un’opera mai eccessiva nel suo luogo e nel suo tempo e perfetta nell’evoluzione stilistica.

 

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