“Mi chiamo Irma Voth” di Miriam Toews

di / 1 dicembre 2012

«Il mondo sembrava spettacolare e bello e calmo, come il sacro cuore di Gesù, avrebbe detto mia madre. Il mondo che stavamo lasciando. Ma immagino che il mondo faccia sempre così. Ti risucchia dentro facendosi bello proprio nel momento in cui sei pronto per andartene».

È Irma che parla, Irma che se ne va perché sceglie di essere libera. Pagando un prezzo altissimo, ma consapevole di iniziare a vivere. Per tornare, anche, alla fine, ma diversa, migliore e magari pure felice. Parto dalla fine, che poi è un inizio; una fine che nasce da un incipit scioccante: «Jorge ha detto che non sarebbe tornato finché non imparavo a essere una moglie migliore». La sua storia, in mezzo. Temi forti raccontati in prima persona senza drammi, senza eccessi, con un filo di ironia che rende più piacevole e leggera la narrazione.

Edito da marcos y marcos, Mi chiamo Irma Voth, di Miriam Toews, è un romanzo che cattura, particolare e insolito per ambientazione e qualità della scrittura.

Siamo all’interno di una comunità mennonita, Irma parla messicano, inglese e basso tedesco e non sopporta le regole rigide che la circondano, le consuetudini della sua comunità. Vittima di un padre violento e possessivo, chiude con lui ogni rapporto quando decide di sposare un messicano non mennonita contravvenendo alle regole, sperando di iniziare con lui una nuova vita. Delusa dal suo uomo che le imputa di essere una cattiva moglie (è invece lui a essere un pessimo marito, tanto da abbandonarla dopo pochi mesi di convivenza), Irma si ritrova a fare da interprete all’attrice tedesca Marijke, dopo l’arrivo nel deserto di una strampalata troupe cinematografica.

«Spero che un giorno qualcuno mi chiederà dov’ero quando ho fumato la mia prima sigaretta, perché gli potrei dire bè, sai com’è, ero sul letto di mia zia e mio zio con un’attrice tedesca di quattordici anni che aveva un figlio di ottanta. Niente di che».

Si apre per lei un mondo nuovo, che seduce anche sua sorella Aggie, come lei donna pensante e dunque scomoda, che decide di seguirla. Ma nemmeno quello è il loro posto, sebbene affascinante e interessante. Irma allora, coraggiosa e inquieta, desiderosa di essere semplicemente donna, decide di lasciare Diego, il suo film e le regole di quest’altro mondo (che in fin dei conti non era poi migliore per costruirsi una personalità libera ma concreta), alla volta di Città del Messico. Insieme a Aggie e alla neonata Ximena, che la madre ha appena partorito e che affida alle sorelle maggiori per sottrarla a una vita impossibile, iniziano le dis-avventure di questo terzetto assortito e per certi versi comico: Irma si improvvisa doppiamente mamma, cambiando pannolini alla piccola ed emozionandosi quando Aggie diventa improvvisamente grande sporcandosi di sangue.

Originale e realistico allo stesso tempo e sicuramente molto autobiografico, in questo romanzo la Toews riesce a indagare i dolori e gli interrogativi della vita di tutti i giorni, senza la pretesa di dare delle risposte, soltanto con la speranza di portarci a riflettere. E lo fa con un modo di raccontare così vicino al parlato e all’immediatezza, mantenuto in modo eccellente dal traduttore Daniele Benati, che riesce a rendere la narrazione particolarmente fluida e avvincente. La forza di una donna e la spinta della libertà in un romanzo che merita di essere letto, anche dagli uomini.


(Miriam Toews, Mi chiamo Irma Voth, trad. di Daniele Benati, marcos y marcos, 2012, pp. 304, euro 17)

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