“Il piantagrane” di Marco Presta

di / 25 gennaio 2013

Capita di rado di leggere un libro divertente, colto e raffinato al tempo stesso. Con un’ironia garbata e una satira vivace ma sottesa, Marco Presta, con il suo “Il Piantagrane” (Einaudi, 2012), ci regala un affresco dell’Italia contemporanea (e del nostro tempo) che fa rabbrividire proprio perché reale ma, che fa ridere proprio perché profondamente grottesca. In realtà non si parla mai del nostro paese ma gli indizi lasciati qua e là, disseminati in una narrazione incalzante e caotica profondamente inserita nel gioco degli antieroi e del nonsense, ci fanno “sentire a casa”, purtroppo, ancora una volta, a malincuore.

Alla base di tutto c’è un tema fortemente “di moda”, quello della rivoluzione. Di moda nel “parlato”, naturalmente: qui in Italia la rivoluzione non s’è mai fatta (o forse sì, ma mascherata: o almeno questo pensava Curzio Malaparte quando parlava della disfatta di Caporetto nel suo Tecnica del colpo di stato) e mai, probabilmente si farà (per troppe cose, nonostante troppe cose).
Allora capita – ma è fantasia lo sappiamo – che un uomo, un vivaista (bella parola, eh?), un bonaccione (uno che di italiano paraculo ha davvero poco) che pensa solo alle sue piante e all’amore (una ragazza conosciuta appena, a dir la verità), incarna a sé un cambiamento. Come? Il seme di una rivoluzione positiva si è innestata in lui. Re Mida al contrario: dove “tocca”, anzi “passa” lui tutto ritrova senso. Bello, no? Mica tanto. Ve lo immaginate un paese dove i giornalisti non parlano di cucina e gossip ma di problemi veri? Dove i politici e i finanzieri lavorassero in nome della giustizia e dell’uguaglianza? Dove i tifosi di calcio applaudissero anche gli avversari e gli arbitri non fossero condizionati da interessi troppo grandi? Ecco il punto. Un paese così non andrebbe bene a molte persone. Con la tecnica a cui ci abituò il buon Saramago (“Immaginate che tutti diventano ciechi”, “Pensate se tutti smettessero di votare”, “Cosa succederebbe se la morte smettesse di sopraggiungere ad un certo punto della nostra vita?”) questa ipotesi creerebbe non pochi problemi. Soprattutto in alto (ma anche in basso, ben intesi, siamo onesti): questo il motivo per cui l’anima candida inizia ad essere accerchiata da forze oscure (in realtà neanche troppo) che se venisse fatto fuori mica sarebbe poi una tragedia.

Giovanni – questo il nome – è un Don Chisciotte involontario e come tale ha bisogno di un fido aiutante, Sancho Panza: uno scudiero burbero, nevrotico, pazzoide e un po’ ignorante. Ma buono. E sincero, come pochi. E soprattutto scaltro: lui che ha vissuto una vita d’inferno conosce meglio d’altri la sua razza, quella umana. La logica e il buon senso che porta con sé il suo servito sono una spada di Damocle a cui si può poco e nulla: fuga, e fuga sia. Il nostro destino è in mano a una coppia stralunata che farebbe invidia a tanti duetti comici. Merito di un autore che è bravo davvero e che merita il successo che, con questo libro (in radio – è un autore de “Il ruggito del coniglio” – ce l’ha già), sono sicuro arriverà.

(Marco Presta, Il piantagrane, Einaudi, 2012, pp.256, euro 17,50)

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