“La vergine che attrae”, regia di Vittorio Adinolfi

di / 31 gennaio 2013

Il violino sa cavalcare le note di un drappo steso, pur essendo da esso celato. Il suono riesce ad attraversare le sottili maglie di tessuto, per approdare ai corpi diafani di due giovani innamorati. Il suono non riesce a essere arrestato da alcun sentimento. Il suono può solo rotolare fino alle orecchie di chi ha bisogno di ascoltarlo.

È la vertigine a generare attrazione. La vertigine che si trova immersa nel fondo marino dell’animo di ciascuno. In quel fondo inanimato di ricordi di solito ci sono memorie stantie e invecchiate. Non nell’animo di Ellida, che in quel punto ha accumulato gli sguardi di un uomo che non può non ritornare nel suo reale. Ha tentato di cambiar vita, di concedersi a un altro, ma non può dimenticare il suono delle sue mani sui drappi increspati, non può dimenticare il suono delle onde sulla barca che pochi anni prima traghettava lontano il suo sogno.

È proprio il suono quindi a ritornare nella mente come nel corpo di Ellida, a rendersi puro controcanto della triste melodia che la donna ha intonato nel seno del suo amore per il dottor Wangel. Medico e marito, quest’ultimo ha la colpa dell’amore che sa ispessire la quotidianità fino a renderla resistente all’urto di qualsiasi pensiero che rifugga la realtà coniugale.

Nel frattempo Ellida sa essere l’onda che torna al mare, se quest’ultimo solo le rivolge il suo indimenticato spumeggiare. È il mare che continua a guardarla, da quando il suo antico amante ne ha fatto la sua via di fuga. Ogni goccia del mare è divenuta quindi un occhio. E per ciascun occhio è nato un dubbio. Si tratta di uno sguardo che vive solo della sensazione del brivido che può generare nella pelle della donna. Uno sguardo rarefatto, sublimato, che può essere reso veramente immateriale solo dalla musica.

Proprio attraverso la musica del violino del M° Michela Coppola, la regia di Vittorio Adinolfi fa rivivere sul palco il personaggio non rivelato del testo di Henrik Ibsen, La donna del mare. Ellida (Angela Rosa D’Auria) si fa travolgere da una scenografia essenziale, ma costantemente avvolgente. Drappi e fili di cotone attorniano sempre più i due sposi, mentre le luci scivolano sul palcoscenico solo sfiorando i corpi senza mai definirli troppo, in un continuo rimando a ciò che l’oscurità può e deve nascondere. È l’oscurità in cui si cela lo sguardo dell’amante perduto, che sarà sempre vicino, ma mai realmente rintracciabile.

Al lieve candore Angela Rosa D’Auria sa alternare rapaci scatti di emozioni a stento trattenute, proprio come le onde del mare che finiranno per rappresentarla. D’altra parte Maurizio D. Capuono (Wangel) sa prodursi in una fine evoluzione psicologica che, da mero contenitore di una donna barrata da un desiderio possente quanto straniero, lo rende donatore di una scelta che potrebbe distruggerlo, ma anche parte attiva e cruciale della vicenda e del suo esito.

La rappresentazione di Vittorio Adinolfi riesce a trovare spessore nella delicatezza di interpreti mai impersonali e di costante fascino per la violenta follia che l’insieme scenico riesce a far sempre intuire senza mai rivelare.

 

La vergine che attrae
tratto da La donna del mare di Henrik Ibsen
regia di Vittorio Adinolfi
con Angela Rosa D’Auria e Maurizio D. Capuono

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