[Oscar 2013] “Zero Dark Thirty” di Kathryn Bigelow

di / 8 febbraio 2013

Ci sono film che si insinuano sottopelle, prescindono dal puro piacere estatico della visione per seminare un germe e imprimersi come fotografia di un pensiero, di un momento, di uno stato delle cose. Opere capaci di valicare i limiti dell’intrattenimento, dell’arte. Opere che vanno oltre, fissando punti, indicando direzioni, con il coraggio e la forza che è di pochi. Raro che ciò avvenga nel cinema contemporaneo occidentale, ancor più raro che ciò avvenga, oggi, nel cinema “americano”. Raro che un film sappia porsi con consapevolezza e coscienza come atto eminentemente politico di riflessione, esame e critica, non solo di fatti e accadimenti ma di un intero paese, della sua struttura e della sua essenza più intima. Zero Dark Thirty, lo straordinario ultimo lungometraggio di Kathryn Bigelow è tutto questo: una lucida e insieme spietata analisi di quel che sono oggi gli Stati Uniti e forse maggiormente di quel che non sono più. Il quadro di una nazione smarrita.

Scioccamente accusato di essere una sorta di apologia dell’etica reazionaria americana e di dare gratuito risalto a crude scene di tortura, l’opera della Bigelow si pone bensì al di sopra delle parti e inquadra, descrivendo la storia recente e, con ammirevole equilibrio, una situazione delicata e scottante che genera ancora ferite laceranti, immergendosi nell’intimo e scavando in profondità quando necessario.

Pensato e iniziato ben prima dei fatti che il 2 maggio del 2011 hanno portato all’uccisione di Osama Bin Laden, il progetto della Bigelow e del suo compagno Boal inizialmente si sarebbe dovuto concentrare sulla caccia al terrorista saudita. È stato poi completamente ripensato in seguito all’uccisione dello stesso. Zero Dark Thirty è divenuto quindi la storia di Maya, una giovanissima agente CIA, una predestinata, una Clarice Starling riattualizzata, che ha nella testa e nel cuore un solo obbiettivo da perseguire con decisione e a tutti i costi: non catturare, non interrogare, non indagare i perché, ma uccidere. Uccidere il diavolo. Un diavolo attraverso cui guardarsi allo specchio per uccidere se stessi o fare i conti quel che ne rimane, con il nulla, con un’identità smarrita, con la solitudine che è personale ma ancor più globale. Qui sta la grandezza di un film che si incentra completamente sulla asciutta prova attoriale della sua protagonista, una Jessica Chastain oramai indiscutibilmente tra le migliori interpreti contemporanee, un’agente nel senso più pieno del termine, protagonista di un agire che ha un prezzo altissimo: la scarnificazione di una identità, la propria, costruita intorno a un mostro frutto delle contraddizioni di quel sogno in cui si è nati e in cui si è creduto di prosperare.

Una corsa alla bieca vendetta che nelle mani della Bigelow diventa lo strumento per documentare le complesse derive scaturite dall’11 settembre. Documentare. La prima e unica donna premio Oscar per la regia, fonde con rigore ed equilibrio uno stile prettamente documentaristico con scene d’azione e tensione degne della migliore tradizione di genere, anche grazie a un montaggio preciso e puntuale e una musica mai invadente. Impossibile non rimanere ammaliati dall’intera sequenza del raid nel compound di Abbottabad, filmata con un taglio di realismo estremo e che pure racchiude al suo interno uno dei momenti più cinicamente politici di tutto il film come le inquadrature sui visi inespressivi e incapaci di reazione dei militari di fronte alle vittime collaterali. Un cinema che stilisticamente accelera e frena quando deve, virando lentamente senza far avvertire il cambio di tono, che si mantiene rigoroso e mai protagonista eccessivo e che sa letteralmente spegnersi nella struggente scena finale che è amara chiave di volta dell’enormità di un film a cui negli anni avvenire si guarderà forse con un occhio più distaccato e lucido, comprendendo quanto possa essere stato il punto di partenza per la rinascita del grande cinema americano, smarritosi come l’America stessa dipinta in Zero Dark Thirty.
(Zero Dark Thirty, di Kathryn Bigelow, 2012, drammatico, 157’)

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio