“L’angelo Esmeralda” di Don DeLillo

di / 30 marzo 2013

«È un tema, quello della violenza in agguato nella nostra quotidianità, che mi ha interessato fin dall’inizio» dice Don DeLillo. L’intervista è stata pubblicata qualche mese fa su Alias in occasione dell’uscita di L’angelo Esmeralda (Einaudi), la prima raccolta di racconti dello scrittore newyorchese. Con nove short stories, scritte tra il 1979 e il 2011, il testo suggerisce strade percorribili anche da chi non conosce DeLillo. L’unica istruzione per l’uso è quella suggerita da Antonio Debenedetti: «Ecco un libro, L’angelo Esmeralda, in cui si deve entrare pian piano, scoprendo un po’ alla volta come trattarlo e che cosa aspettarsi dalle sue pagine lucide, lavoratissime, non di rado sorprendenti».

Se DeLillo pone l’attenzione sul tema della violenza, Debenedetti invita alla delicatezza reverenziale che si riserva a un oggetto fragile, da maneggiare con cura. Questi due aspetti rispecchiano il principio che governa la struttura interna del libro: il conflitto tra due poli, rappresentati di volta in volta da personaggi o semplicemente da situazioni. Un classico, se non fosse che il contrasto non è mai superato e la storia si risolve in un prologo di sé stessa.

I personaggi di DeLillo hanno qualcosa in comune con la logica dei buchi neri: li si vede precipitare verso l’orizzonte degli eventi, ma all’osservatore esterno sembra che questo moto si congeli sulla superficie del non ritorno. E così mentre per i personaggi il tempo scorre regolare, per il lettore si cristallizza un’immagine che li ritrae sul punto di cadere all’infinito. Lo sguardo di Don DeLillo, infatti, non descrive, ma intercetta «momenti di umanità», come recita il titolo della storia in cui due astronauti orbitano intorno alla terra durante la terza guerra mondiale.

Nel primo racconto, una coppia è bloccata su un’isola dove i pochi aerei disponibili partono senza orari precisi. L’unica possibilità è dividersi, così l’uomo permette alla moglie di partire e resta sull’isola ad attendere il volo successivo. In realtà trascorrerà la notte con una turista del tutto estranea al lettore. I due sembrerebbero amanti di vecchia data, ma lo scrittore favorisce i sottiintesi della vita quotidiana, spargendo suggerimenti che non trovano conferma. Nell’ultimo racconto, un uomo separato in casa tampina una sconosciuta tra i cinema della città.

A fare da baricentro c’è  “L’angelo Esmeralda”. Chi ha letto Underworld riconoscerà alcuni personaggi, chi non l’ha mai letto troverà un motivo per farlo perché “L’angelo Esmeralda” (che sarà in parte rimaneggiato per il romanzo) è probabilmente il racconto più intenso. Qui si concentrano gli aspetti ricorrenti nel testo: la violenza, l’emarginazione, l’aleggiare di un pericolo imminente, le assenze anonime e al contempo dense che bilanciano i pesi della narrazione.

Nei nove racconti, lo scrittore declina questi elementi in forme diverse ottenendo una scrittura sospesa e illuminata. Infatti l’ottima traduzione di Federica Aceto restituisce le sfumature di un linguaggio che attinge anche al quotidiano e che funziona come un fascio di luce puntato su una platea inconsapevole. La narrazione di Don DeLillo si configura così come il risultato di un cambio di focale che sposta in primo piano le realtà fuori fuoco.


(L’angelo Esmeralda, Don DeLillo, trad. di Federica Aceto, Einaudi, 2013, pp. 216, euro 19)

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