“Un romanzetto lumpen” di Roberto Bolaño

di / 4 giugno 2013

Quando penso alla letteratura di Roberto Bolaño, penso a un cosmo. Un sistema solare di opere letterarie. Allineato e coerente, con un ordine – in greco kósmos, per l’appunto. Un sistema in cui il sole è 2666 – tra i due o tre lavori narrativi contemporanei più importanti – e poi tutti gli altri pianeti: I detective selvaggi, Stella distante, Puttane assassine, Il gaucho insostenibile. Ai bordi di questa galassia, c’è Una novelita lumpen: in italiano Un romanzetto lumpen (Adelphi, 2013), dove lumpen può essere tradotto anche – vista l’ambientazione che a breve affronteremo – con “popolare”, proletariamente parlando (la prima edizione italiana, pubblicata da Sellerio nel 2003, è uscita invece con il titolo Un romanzetto canaglia). Ai confini del cosmo-Bolaño, non per scarsa importanza o valenza, ma per ordine cronologico: il libro è l’ultima opera pubblicata dall’autore cileno prima della precoce dipartita avvenuta nel 2003.

Un romanzetto lumpen viene classificato come romanzo breve, ma vista la mole dei racconti pubblicati da Bolaño, conviene considerarlo un racconto lungo. Un racconto capace di attirare immediatamente il lettore nostrano per l’ambientazione. Siamo in Italia, nello specifico a Roma, in una zona periferica non specificata. Qui abitano i due protagonisti senza nome. Fratello e sorella, da poco orfani, dopo l’incidente stradale sulla Salerno-Reggio Calabria in cui hanno perso i genitori. A raccontarcelo è la protagonista femminile. L’assegno di mantenimento, l’assistente sociale, le difficoltà economiche, la scuola abbandonata, il lavoro, il complesso rapporto con il fratello. Nel frattempo, nel suo giovane corpo avviene una trasformazione. Forse dovuta al trauma, forse ai cattivi pensieri: riesce a vedere nell’oscurità. Nel buio. Viene rapita dal biancore della luna e osserva nel pieno della notte tutta la luce che c’è. Poi, all’improvviso, nella disastrata vita degli orfani entrano due amici del fratello, chiamati dalla ragazza semplicemente “Il Bolognese” e “Il Libanese”. Amici di palestra del fratello. Poco a poco, i due entreranno nella camera da letto dell’adolescente protagonista e proporranno una svolta criminale alla loro esistenza. Intanto, la depressione aumenta e il pensiero del futuro sembra qualcosa di offensivo.

Del romanzetto (Bolaño stesso ironizza sulla mole cartacea dell’opera, ma non su quella contenutistica) colpisce la capacità dell’autore di concentrare il flusso di pensieri della ragazza in una trama esigua dipanata su poche pagine. La narrazione e la scrittura sono talmente colloquiali, fluide, coinvolgenti che sembra di essere accanto alla ragazza mentre tutto il caos della sua vita esplode. Anche i momenti più traumatici e dolorosi, sembrano normali, quasi scontati. In un continuo procedere oscuro, che solo nel finale, dopo gli ultimi avvenimenti, lascia uno spiraglio di luce: quella vera, quella del giorno, non più quella della notte. Quella del futuro, della speranza.

È confortante vedere come uno dei sommi narratori contemporanei riesca a esprimere e comunicare tali messaggi anche nelle opere meno citate e blasonate. Forte dell’ambientazione neorealistica alla Pasolini, Un romanzetto lumpen è l’ennesimo libro imperdibile di Bolaño. L’ennesimo pianeta da visitare, in quel cosmo immenso e mirabile che è la sua letteratura, e che l’autore adesso può permettersi di abitare a tempo pieno.

(Roberto Bolaño, Un romanzetto lumpen, trad. di Ilide Carmignani, Adelphi, 2013, pp. 119, euro 14)

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