“Cha cha cha” di Marco Risi

di / 21 giugno 2013

Una Roma violenta e corrotta fa da sfondo a Cha cha cha, tentativo a firma di Marco Risi di rinverdire i fasti del cinema di genere in Italia guardando al noir di scuola francese.

Corso è un detective privato incaricato dalla ricca Michelle di tenere d’occhio il figlio sedicenne Tommaso, leggermente più inquieto e distante rispetto a un normale adolescente. Un tempo Corso e Michelle si sono amati, quando lui era un poliziotto nella squadra dell’ispettore Torre e lei un’attrice tossica arrivata in Italia in cerca di fortuna. Poi le cose sono cambiate, lui ha lasciato la polizia mentre lei è diventata la donna del potente avvocato Argento e vive in una villa in cui passa tutta l’alta società italiana nello sfarzo delle feste. Quando Tommaso muore all’uscita di una discoteca in un incidente stradale sotto i suoi occhi, Corso si ritrova coinvolto in un’indagine che lo porterà a scoprire un intreccio di corruzione che lega il ragazzino, l’avvocato, il suo ex capo Torre e un ingegnere trovato morto pochi giorni prima, in un campo vicino all’aeroporto.

L’attenzione per la dimensione sociale è sempre stata uno dei punti di forza dei film di Marco Risi, soprattutto nel periodo a cavallo tra gli anni ottanta e novanta in cui ha alternato momenti di crudezza dal sapore neorealistico (Mery per sempre e il suo seguito Ragazzi fuori) a un cinema che si carica di rimandi al giornalismo d’inchiesta con Il muro di gomma sul disastro aereo di Ustica.

Dopo essersi riavvicinato all’impegno civile con il riuscito Fortapàsc nel 2009, Risi, sempre con la rodata collaborazione in scrittura del giornalista politico Andrea Purgatori e di Jim Carrington, tenta ora con Cha cha cha la strada del cinema di genere, il noir, arricchendolo, secondo il modello del polar francese e di certo cinema statunitense, con uno sguardo di denuncia sulla corruzione politica e affaristica nell’Italia d’oggi.

L’operazione riesce solo a tratti. La messa in scena del thriller è efficace, con una Roma fatta di cavalcavia,  suburbana e livida, lontana dalle immagini da cartolina, fotografata dallo scomparso Marco Onorato, a cui il film è dedicato, ma non basta. Se la trama del giallo è in sé prevedibile per i suoi risvolti di dramma (simil) familiare, la denuncia del malaffare si accenna solo in frammenti, senza spingersi in considerazioni di portata più vasta, senza allargare il campo su una rete di corruzione più ampia e invincibile, ma limitandosi a dare una nuova, ennesima, versione, della Roma criminale che tanto va ultimamente.

Tratteggiando il personaggio di Corso, interpretato da un Luca Argentero sull’introspettivo e non pienamente convincente, Risi gioca con i cliché del caso cercando di applicarli senza esito alla realtà romana, lasciandosi andare a rimandi e citazioni presi dal cinema che più lo ha colpito, con tanto di scazzottata in desabillé, pudicamente ombreggiata, in stile La promessa dell’assassino, seguita a stretto giro da un momento di sordità collettiva in stile Copland.

Nel ruolo di mater dolorosa, la supermodella Eva Herzigova funziona, mentre Claudio Amendola, che aveva condiviso i primi passi cinematografici con Risi, nei panni dell’ispettore Torre conferisce quella giusta dose di disincantato e disgustato cinismo all'intero film, ma fatica a recuperare quella carica di spontanea fisicità ormai appannata da anni di televisione.

L’impressione generale che lascia Cha cha cha è quella di una serie di accenni e suggestioni, incluso il titolo stesso, che non si sviluppano pienamente. Un senso di incompletezza, un passo avanti e uno indietro, come nel cha cha cha.

 

(Cha cha cha, di Marco Risi, 2013, thriller, 90’)

 

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