“Il topo che amava i gatti e altre stranezze dell’evoluzione” di Michel Raymond

di / 2 settembre 2013

È ancora utile, nel 2013, pubblicare un libro che spieghi la teoria dell’evoluzione della specie di Charles Darwin? Tutti pronti a dire di no, che in fondo tutti conosciamo la selezione naturale, sappiamo come opera e che è responsabile della varietà delle specie presenti sulla Terra (a meno che non si parli di creazionisti, ma questo è un altro problema). Eppure, quando nel 2009, in occasione dell’anno darwiniano (200 anni dalla nascita e 150 dalla prima uscita del suo L’origine delle specie), Michel Raymond è andato in giro per convegni e conferenze, ha pensato che qualcosa ancora non fosse chiaro, e che, non di rado, non si fosse proprio capito nulla!

Nasce così Il topo che amava i gatti (Bollati Boringhieri, 2013), un libro di divulgazione, scritto niente poco di meno che da un direttore di ricerca del CNRS (l’ente nazionale di ricerca francese), che in un centinaio di pagine spiega come l’evoluzione abbia operato, spesso con soluzioni davvero fantasiose, spesso con errori anche grossolani. Leggere questo libro è come guardare un documentario: tante piccole curiosità che presentano al lettore una varietà di situazioni in cui la selezione naturale ha guidato l’evoluzione e come le diverse specie si siano pian piano adattate all’ambiente in cui si sono ritrovate a vivere.

E l’uomo? C’è chi dice che si sia emancipato dal meccanismo della selezione tanti anni fa, che per la specie umana le regole dell’evoluzione non spieghino più nulla, che siamo ormai fuori da questo infinito processo di adattamento. Eppure Raymond vuole dimostrare che non è proprio così. E una volta che il lettore ha preso familiarità coi meccanismi della selezione, nell’ultimo lungo capitolo mostra come questa operi ancora nella specie umana, e che se anche ci riteniamo tanto evoluti e al di sopra di tutto, molte cose rimangono uguali, e anzi, prenderle in considerazione sarebbe un grosso beneficio non solo per le scienze e la medicina, superando così l’idea che siamo tutti uguali, quando invece la selezione ci ha resi tutti diversi perché diversi erano gli ambienti in cui ci troviamo ad abitare, ma anche per lo studio delle scienze umanistiche, perché la “selezione culturale” è strettamente collegata a quella naturale, e solo attraverso la loro intersezione si può spiegare l’evoluzione culturale dell’uomo.

Pochi libri aprono la mente e mostrano un punto di vista nuovo su cui riflettere. Il topo che amava i gatti appartiene sicuramente a questa categoria, perché far rientrare l’uomo contemporaneo nella selezione naturale non solo non è scontato, ma è anche complicato: parlare della diversità nella specie umana è difficile e pericoloso, farlo in termini scientifici ancora di più. Raymond ci riesce senza alcuna difficoltà, supera l’impasse e, con estrema naturalezza, mostra le prospettive di un approccio libero da pregiudizi culturali.


(Michel Raymond, Il topo che amava i gatti e altre stranezze dell’evoluzione, trad. di Federica Turriziani Colonna, Bollati Boringhieri, 2013, pp. 175, euro 13,50)

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