“Il sale” di Jean-Baptiste Del Amo

di / 24 settembre 2013

Per capire l’atmosfera di Il sale di Jean-Baptiste Del Amo (Neo, 2013) basta rievocare la sensazione che solitamente ci trasmette un film drammatico francese un po’ lento, con ambientazione grigiastra e molto silenzioso. Uno di quei film di cui uno spettatore medio direbbe che non succede niente.

Il sale del titolo è quello marino della cittadina francese di Sète, la cui vita ruota intorno al porto e alla pesca, ma qui diventa anche metafora di ciò che incrosta e inaridisce le vite, i rapporti familiari, l’infanzia.

L’anziana Louise ha invitato a cena i suoi familiari, è emozionata, è contenta di sentirsi di nuovo in compagnia, ed è tesa: quell’incontro non sembra essere così consueto, i suoi tre figli hanno preso strade diverse e si sono irrimediabilmente allontanati. La prospettiva della cena mette tutti in agitazione e ogni capitolo del libro si occupa di mostrare il punto di vista di ognuno dei personaggi coinvolti, le preoccupazioni, i ricordi, i sentimenti nei confronti degli altri.

Jonas, il minore dei tre fratelli, ha avuto un’infanzia tormentata dalla brutalità del padre Armand, rude pescatore di origini italiane, che ha sempre respinto con violenza l’omosessualità del ragazzo.

Fanny è una donna depressa che non riesce a superare la perdita della figlia Léa e ha congelato ogni contatto con il marito e l’altro figlio pur continuando a condividere lo stesso tetto.

Albin è quello che porta più di tutti l’eredità pesante di Armand, cerca di essere un padre, un uomo e un marito ma tutto sembra crollare.

La morte e la sessualità sono i motori che trainano le esistenze di tutti i personaggi, sono il filo rosso che cuce i frammenti di ricordi fino a formare l’immagine di cinque individui e di una famiglia intera, con i suoi fantasmi. Temi che si sposano sotto il vessillo della malattia che aleggia direttamente o indirettamente su tutti i personaggi: l’AIDS del compagno morto di Jonas, la fetida invalidità del padre di Armand, il cancro dello stesso Armand.

Il romanzo è costituito da un interminabile susseguirsi di analessi che si irradiano da un grado zero quanto mai esile. Il tempo del racconto si inchioda però in concomitanza della narrazione di piccoli e torbidi episodi legati a una sessualità morbosa o traumatica, quasi a sottolineare una freudiana radice di tutti i mali. Tra questi episodi, la vicenda dei figli di Albin (durante un gioco di lotta, Jules si eccita e tocca il fratello cercando invano la stessa reazione) si colloca come una forzatura. E forzato risulta anche il personaggio di Nadia, la transessuale amica di Jonas.

Anche la lingua non è perfetta (almeno nella traduzione italiana) ma raggiunge un equilibrio nelle suggestive descrizioni dei luoghi.

Piacevole sorpresa, invece, in un racconto nel complesso non entusiasmante, è la narrazione del drammatico viaggio di Armand bambino che fugge insieme al padre e al fratello dall’Italia in guerra e, soffrendo la fame e la fatica, giunge in Francia. Quella traversata, infatti, appare come il germe della maledizione di tristezza, morte e insoddisfazione che condanna tutte le generazioni della famiglia, facendo di Armand il capostipite di legami familiari ruvidi come il sale marino che incrosta affetti flebili come il respiro di un moribondo.

Jean-Baptiste Del Amo è un giovane scrittore francese che con il romanzo Une éducation libertine, che gli è valso il Premio Goncourt nel 2009, è stato paragonato a scrittori del calibro di Balzac e Flaubert. Già premiato e promettente, manca forse alla sua bella scrittura il tentativo trovare una voce meno classica, che possa contribuire a dare alle nuove opere di valore anche una veste linguistica inedita e aprire la strada a un vero stile dei giorni nostri.

(Jean-Baptiste Del Amo, Il sale, trad. di Sabrina Campolongo, Neo, 2013, pp. 267, euro 16)

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