“Bling Ring” di Sofia Coppola

di / 27 settembre 2013

Sofia Coppola si è ispirata alla cronaca per il suo quinto film, Bling Ring, con un cast di giovanissimi tra cui spicca Emma Watson. Un gruppo di ragazzi di Beverly Hills si intrufola nelle case delle celebrità del cinema e del costume e porta via vestiti, gioielli e borse. Lo fanno per essere come loro, non per rivendere la merce. I soldi che prendono li usano per fare festa nei club esclusivi, finché non vengono beccati.

Sofia Coppola conferma tutto il suo interesse per i più giovani, per gli adolescenti nelle varie fasi di passaggio delle loro vite più o meno complicate. Dopo Il giardino delle vergini suicide dell’esordio, le due spose bambine di Lost In Translation e Maria Antonietta, la figlia di Somewhere, in Bling Ring è un gruppo di adolescenti benestanti di Los Angeles ad attirare la sua attenzione e le sue telecamere. Prendendo spunto da un articolo di Vanity Fair, The Suspects Wore Louboutins, scritto da Nancy Jo Sales e dedicato ai veri crimini di un gruppo di giovanissimi californiani, la Coppola cambia registro rispetto al precedente, sopravvalutatissimo, Somewhere abbandonando lunghezze espositive e silenzi a favore di un ritmo serrato fatto di montaggio veloce e colonna sonora, sempre molto attenta a essere trendy, prepotente.

Le ragazzine di Sofia Coppola entrano nelle case dei vip mentre loro non ci sono, controllando i loro movimenti su internet. Si illudono di vivere la vita che vedono in televisione camminando nelle loro stanze, sedendo sui loro divani, portando via i loro abiti griffati e i loro contanti. Quando progettano i piani si dicono «Andiamo da Paris», come parlassero di una loro amica. Non c’è coscienza dei reati che compiono, non c’è prudenza durante le effrazioni. Si scattano foto con gli smartphone che poi condividono sui social network, si vantano con gli amici, spendono i soldi rubati per andare negli stessi locali dei loro idoli di plastica. Il loro obiettivo non è la ricchezza, ma raggiungere lo stile di vita delle fashion icon che ammirano, vivere e sentirsi come loro. Non è più dicotomia tra essere e avere, neanche tra essere e apparire. Quello che conta è esclusivamente ostentare: un oggetto, una firma, uno status anche solo presunto.

Sofia Coppola, anche sceneggiatrice, segue i suoi protagonisti con telecamere leggere, con uno stile quasi da reportage giornalistico. Per un’ora Nicki, Rebecca e gli altri bevono, ballano, rubano e si drogano in un trionfo di slow motion, primissimi piani sul vizio e velocità. Senza arrivare agli eccessi ultra-pop di Spring Breakers, la regista segue la passeggiata nel vizio di questi poco più che bambini senza esprimere, come di consueto con i suoi personaggi, alcun giudizio, senza condannare o giustificare. Ci pensa la mezz’ora conclusiva, in cui i ladri vengono scoperti, a rivelare pienamente la loro natura. Si invoca la mamma mentre la polizia li porta via, ma il processo, davanti alle telecamere e ai flash, torna a essere una sfilata in cui l’unica preoccupazione è se si è vestiti troppo da puritani.

C’è il sospetto, con i film di Sofia Coppola, che l’assenza di giudizio, l’indulgenza o l’ignavia, a scelta, nei confronti dei protagonisti, vada al di là di una specifica dichiarazione di intenti. C’è un limite, dietro, che sembra emergere e mettere in luce una sostanza incapace di eguagliare la forma, curata e personale, leggera e sofisticata allo stesso tempo. L’attenzione e l’interesse sembrano rivolti a confezionare nel modo migliore possibile il contenuto, facendolo apparire sofisticato e casual allo stesso tempo. Non sempre, però, c’è Tarantino in Giuria a regalare Leoni d’Oro.

Emma Watson è, senza dubbio, l’unica sopravvissuta della saga di Harry Potter tra i giovani attori. Hermione è già un lontano ricordo.

(Bling Ring, di Sofia Coppola, 2013, drammatico, 90’)
 

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