“L’impronta dell’editore” di Roberto Calasso

di / 30 settembre 2013

Per chi ama la lettura, la cornice nera su sfondo pastello di questa copertina è un segno inconfondibile: Adelphi. Adelphi, storica casa editrice italiana che da anni ormai è associata al nome di Roberto Calasso – direttore editoriale dal lontano ’71, in seguito consigliere delegato e infine presidente –, autore di L’impronta dell’editore (Adelphi, 2013).

Come lo stesso Calasso da sempre insegna, i risvolti e i paratesti di un libro dovrebbero raccontarci almeno in parte il suo contenuto, schiudersi come una vera e propria lettera indirizzata al potenziale lettore. In questo caso, in cui il principio funziona al quadrato, poiché Calasso stesso scrive la quarta di un suo libro in cui racconta il mestiere dell’editore, leggiamo: «La vera storia dell’editoria è in larga parte orale – e tale sembra destinata a rimanere. Una teoria dell’arte editoriale non si è mai sviluppata – e forse è troppo tardi perché si sviluppi ora. Andando contro a questi dati di fatto, ho provato a mettere insieme due elementi: qualche passaggio nella storia di Adelphi, quale ho vissuto per cinquant’anni, e un profilo non di teoria dell’editoria, ma di ciò che una certa editoria potrebbe anche essere: una forma, da studiare e da giudicare come si fa con un libro. Che, nel caso di Adelphi, avrebbe più di duemila capitoli».

L’elogio di un percorso editoriale ben preciso è evidente, e tuttavia, innegabile: impossibile non apprezzarne la coerenza, la lucidità, la fiera consapevolezza, che anche nei suoi slanci più autoreferenziali non può che suscitare la stima del lettore. La raccolta di saggi e articoli di cui si compone L’impronta dell’editore, ci racconta, fin dagli albori, la storia di Adelphi, ma non solo: l’esempio virtuoso della casa editrice fondata da Foà e Olivetti nel ’62 si erge a modello editoriale attivo e funzionante. Fin dall’incipit – dal sapore quasi biblico: «All’inizio si parlava di libri unici» –, su tutto prevale la difesa di un certo tipo di editoria, sorta agli inizi del Novecento e ora, drasticamente, in declino: un’editoria della scelta, del giudizio, che si riconosce più per ciò che rifiuta, che non seleziona, che per ciò di cui si compone.

Diviso in quattro parti, l’agile volume è composto prevalentemente da interventi già noti che, uniti a due saggi inediti, si intersecano senza sforzo per dare vita a un vero e proprio manifesto di quello che, secondo Calasso, è il mestiere dell’editore, «dove l’eccellenza è riservata a pochissimi». Una visione parziale, si direbbe, eppure a tuttotondo: ai lungimiranti accenni ai cambiamenti del mondo editoriale con l’avvento del digitale, si uniscono ritratti di figure storiche dell’editoria italiana e non – tra gli altri, Calasso ci presenta Giulio Einaudi, Roberto Bazlen, Luciano Foà, Gaston Gallimard, Peter Suhrkamp –, aneddoti personali, e soprattutto un’attenzione al libro come oggetto, in cui forma e contenuto non possono che essere l’una lo specchio dell’altro.

La metafora che regge l’intero volume, consigliato non solo agli addetti ai lavori, ma a chiunque voglia affacciarsi attraverso uno sguardo consapevole al mondo del libro, è quella dell’editoria come genere letterario, in cui ogni casa editrice corrisponderebbe a un unico libro suddiviso in innumerevoli capitoli, i molti libri unici che ancora fanno di questo particolare tipo d’industria un’arte.

(Roberto Calasso, L’impronta dell’editore, Adelphi, 2013, pp. 164, euro 12)

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