“In principio” di Chaim Potok

di / 3 ottobre 2013

«Gli inizi sono sempre difficili».

Questo di In principio di Chaim Potok (Garzanti, 2013) è uno di quegli incipit da trascrivere da qualche parte, un diario, un quaderno, un’agenda o un semplice pezzetto di carta da tenere sempre a portata di mano per citarlo ogni volta che la vita ci mette di fronte a scelte importanti.

Lo sa bene lo stesso scrittore, Chaim. Il nonno di suo padre infatti, dopo essere fuggito dalla Russia per evitare i trentacinque anni di servizio militare come suddito dello zar Nicola I, scelse la città polacca di Lvov come patria d’adozione, divenne mugnaio e assunse il nome di Potok che significa “corso d’acqua veloce”.

Suo padre a sua volta emigrò in America, a Brooklyn. Chaim crebbe così non sapendo se discendeva da un sacerdote, da un levita o da un semplice israelita. Suo padre, un pio chassid, avrebbe voluto che il figlio diventasse rabbino. Ma proprio come il protagonista di In principio, anche Chaim si allontanerà dalla tradizione del suo popolo per diventare scrittore – folgorato a 17 anni dalla lettura di Il ritratto dell’artista da giovane di Joyce – o meglio, per diventare uno dei più importanti cantori degli ebrei di Brooklyn e dei loro difficili rapporti con la cultura occidentale. La questione religiosa infatti condiziona tutti i suoi personaggi fin dall’infanzia e li costringe a scelte nette e dalle conseguenze irreversibili.

Gli inizi di David Lurie, il protagonista di In principio, furono difficili perché condizionati da vari “incidenti”, primo fra tutti la caduta dalle braccia della madre appena nato, che gli provocherà, contrariamente alla superficiale diagnosi del dottore, una deviazione del setto nasale e una salute cagionevole.

Nel mondo frattanto le prime avvisaglie di quell’antisemitismo che porterà alla Shoah cominciano a palesarsi: «Fuori il mondo era nero d’orrore. Faceva del male agli ebrei e a me capitavano sempre degli incidenti e mi ammalavo sempre».

David cresce in un quartiere residenziale di Brooklyn a stretto contatto con i goyim, i non ebrei, i “gentili”, ovvero i cristiani, i cattivi cristiani che discriminavano e disprezzavano gli ebrei rei dell’uccisione di Cristo.

Il piccolo, così poco prestante fisicamente, esile e pallido, quanto dotato di un sorprendente intelletto, non comprende però l’ostilità nei suoi confronti di un paio di ragazzini goyim del suo quartiere. E non lo comprenderà nemmeno più avanti quando apprenderà la storia della morte dello zio di cui porta il nome, ucciso in un pogrom, né l’odio assetato di sangue di suo padre o il pallore di sua madre quando in ansia attenderà notizie dei parenti rimasti in Polonia mentre l’Europa è oramai sotto il giogo nazista.

David ne farà una condizione di vita, anche andando contro il volere del padre: tradire il Talmud per conoscere la Bibbia cristiana, combattere i goyim con le parole e le idee e non con le bombe o gas letali: «Mi sentivo ferito perché nessuno capiva che ero entrato in una zona di guerra, che il campo di battaglia era la Torah, che i feriti erano le idee e che se mi fossi sottratto al rischio di espormi davvero sarebbe stato impossibile perlustrare il campo di combattimento, individuare l’identità del nemico e trovare gli strumenti e la strategia di contrattacco».

In principio è proprio questo viaggio, narrato in prima persona dal piccolo David, verso le proprie radici, «una folle ricerca di inizi intangibili».


(Chaim Potok, In principio, trad. di Mara Muzzarelli, Garzanti, 2013, pp. 616, euro 15,90)

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