“Ne vale la pena” di Carlo Mazzerbo con Gregorio Catalano

di / 17 dicembre 2013

«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Sembra che Carlo Mazzerbo, da trent’anni nell’amministrazione carceraria, abbia preso alla lettera, nel corso della sua carriera, l’articolo 27 della Costituzione. O almeno è la conclusione alla quale si giunge leggendo il suo Ne vale la pena. Gorgona, una storia di detenzione, lavoro e riscatto (Nutrimenti, 2013) scritto assieme al giornalista Gregorio Catalano. Un libro dallo stile semplice (forse fin troppo), che racconta il tentativo riuscito di gestione rivoluzionaria di un penitenziario.

«Oggi la popolazione carceraria è di 65.891 unità, con ventimila eccedenze», racconta l’autore nelle pagine iniziali del libro, «I sottoposti a misure alternative, affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare e semilibertà sono circa diciottomila, quelli in attesa di giudizio venticinquemila, i condannati quarantamila. Ebbene, appena il tredici per cento lavora, il resto trascorre venti ore in cella senza poter svolgere alcuna attività». Questa la premessa del saggio, dalla quale l’autore parte per fare una rapida carrellata su quanto ha trovato nelle carceri italiane nei primi anni della sua carriera; istituti dove è «difficile ricordare un nome, perdi il filo logico di quello che fai, cerchi di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali in un contesto precario, violento, con il sovraffollamento e le disfunzioni che complicano tutto, nemmeno il tempo di stabilire rapporti umani minimi».

Un inizio di carriera brutale che trova la svolta nell’assegnazione alla prigione di Gorgona, la più piccola isola dell’Arcipelago toscano. Una realtà che gli permetterà di mettere in pratica la sua idea di penitenziario: «un luogo dove le sbarre vengono chiuse solo di notte, i contatti umani sono impegnativi e che offre opportunità di lavoro nelle quali credo con convinzione». Una prigione dove i detenuti lavorano, preparandosi per il ritorno nella società. Nelle pagine centrali del libro il lettore potrà scoprire tutte le iniziative realizzate da Mazzerbo tra il 1989 e il 2004 tese a far socializzare, coinvolgere e quindi responsabilizzare la popolazione della casa di reclusione. Esperienze come il “Tg Galeotto” – telegiornale realizzato dai detenuti che racconta la realtà carceraria –, o la squadra di canottaggio che riesce a gareggiare perfino nelle gare livornesi. Ma non solo. Nascono esperienze difficili da accostare all’immaginario comune del carcere. Un esempio è l’acquacoltura – la produzione di pesci in ambienti confinati e controllati dall’uomo – che, oltre a fare degli utili, offre «una possibilità di lavoro diversa ai detenuti, da spendere una volta liberi».

L’idea di Mazzerbo si basa su un equilibrio delicato. Da una parte una selezione attenta delle domande di trasferimento a Gorgona: «Accogliamo detenuti con condanne pesanti, ma solo quelli con un fine pena non superiore ai dieci anni, insomma chi […] abbia una prospettiva non lontanissima di vita all’esterno. Perché se sai che di dover marcire in cella per quasi tutto il resto dei tuoi giorni, a che serve lavorare?». Dall’altra una concezione del rapporto carcerati-carcerieri che prende la forma della “vigilanza dinamica”: «Bisogna cercare di comprendere la personalità del detenuto, i suoi punti deboli, la sua indole, questo non solo per indirizzarlo nel reparto più adatto ma anche per gettare le basi del trattamento, che poi l’équipe dovrà correggere nel tempo per adeguarlo ai progressi e alle eventuali battute d’arresto».

Nel momento in cui una di queste condizioni venga violata, come si leggerà nel libro, il sistema crolla. Nonostante, questo, però, Mazzerbo è convinto che la strada che ha seguito gestendo il carcere di Gorgona sia stata quella giusta: «Certo, questo richiede molto più dell’applicazione di leggi e regolamenti, ma è indispensabile metterci passione vera, amore per quei luoghi, il mondo che li abita, e per gli obiettivi che insieme ci prefiggiamo. Senza coinvolgimento, quelle che viviamo come opportunità si trasformerebbero in problemi insormontabili. Sostengo da sempre, andando spesso contro corrente, che Gorgona non solo non vada chiusa ma che possa e debba essere presa a modello. E ne resto convinto. Perché non moltiplicare l’esperienza, creare anche in altri istituti occasioni di lavoro, di studio e di formazione? È un problema di volontà politica, prima ancora che di costi».

(Carlo Mazzerbo con Gregorio Catalano, Ne vale la pena. Gorgona, una storia di detenzione, lavoro e riscatto, Nutrimenti, 2013, pp. 192, euro 16) 

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