“Il bar delle grandi speranze” di J.R. Moehringer

di / 28 settembre 2013

«Ci andavamo per ogni nostro bisogno. Quando avevamo sete, naturalmente, e fame, e quand’eravamo stanchi morti. Ci andavamo se eravamo felici, per festeggiare, e quand’eravamo tristi, per tenere il broncio. Ci andavamo dopo i matrimoni e i funerali […]. Ci andavamo quando non sapevamo di cos’avevamo bisogno, nella speranza che qualcuno ce lo dicesse. Ci andavamo in cerca d’amore, o di sesso, o di guai, o di qualcuno che era sparito, perché prima o poi capitava lì. Ci andavamo soprattutto quando avevamo bisogno di essere ritrovati».

La vita non è semplice se ti chiami J.R. Le persone che incontri sono curiose e ovviamente continuano a domandarti cosa significhino quelle due lettere, quale sia il tuo vero nome: «E J.R. sta per …?». Nel 1980 poi, la faccenda diventa quasi impossibile. Mentre i carri armati russi invadono l’Afghanistan e cinquantadue americani sono tenuti in ostaggio in Iran, il mondo (persino i paesi del blocco sovietico) pare infatti in preda a un'ossessione: il tentato omicidio di J.R. Ewing (noto personaggio della serie televisiva Dallas). Così tutti quelli che incontrano il povero Moehringer, allora sedicenne, non riescono a trattenersi dal porgli la fatidica domanda: «Chi ti ha sparato?».

In effetti, per il ragazzo, chiamarsi J.R. è sempre stato complicato, ben prima di Dallas. Il suo vero nome, John Joseph Moehringer Jr (dove Jr sta per junior), deriva infatti da un padre sparito (John Joseph Moehringer): «Mio padre era un uomo dai molti talenti, ma il suo vero genio era scomparire». La madre però, non volendolo chiamare né John, né Joseph o Junior, scelse la sigla J.R. Se da bambino vieni a conoscenza che il tuo vero nome è identico a quello di un padre che ti ha abbandonato, molto probabilmente cercherai tutta la vita di porre rimedio, e Moehringer inizia pertanto a dare risposte evasive alle persone che lo interrogano sul significato di quelle due lettere: «J.R. non è una sigla, è il mio vero nome all’anagrafe», oppure: «Sono stato concepito subito dopo la morte di John F. Kennedy e i miei genitori erano indecisi se darmi il nome di John o di Robert […], così si sono inventati un nome che ricordasse tutti e due. JR. Senza punti».

Come detto, il padre va via di casa prima che J.R. abbia ancora iniziato a parlare non lasciando nel piccolo nessun ricordo del proprio aspetto: «Conoscevo solo la sua voce. Noto disc-jockey di rock’n roll, mio padre parlava ogni giorno da un grosso microfono in qualche punto di New York […]. Con la radio sulle ginocchia manovravo l’antenna finché non ritrovavo La Voce». Poi, un giorno, anche La Voce sparisce. Privo di una figura paterna, saranno gli uomini incontrati nel bar del quartiere a crescerlo. È lì che il giovane J.R. torna non appena possibile, per festeggiare o per dimenticare, per divertirsi o per cercare conforto. È lì che si nasconde dalle insidie del mondo esterno, un mondo che però, prima o poi, sarà costretto ad affrontare.

Solo pochi mesi dopo la pubblicazione di Pieno giorno eccoci dunque nuovamente a parlare di J.R. Moehringer e in particolare, stavolta, del suo primo romanzo: Il bar delle grandi speranze (Piemme, 2007). Questo straordinario esordio in Italia è passato purtroppo un po’ in sordina e molti lettori nel nostro paese hanno conosciuto Moehringer solo nel 2011 leggendo Open. La mia storia, la bellissima biografia del tennista Andre Agassi. Un libro scritto così bene che almeno fino alle pagine dedicate ai ringraziamenti finali in cui l’atleta parla diffusamente dell’apporto fondamentale dello scrittore, un po’ tutti, stupiti, devono essersi chiesti se Agassi, per decenni uno dei più forti tennisti del mondo, avesse celato ai più un altro suo grande talento. Negli Stati Uniti, invece, poiché non sempre è vera la locuzione nemo propheta in patria, Moehringer ha da subito avuto un grandissimo successo di pubblico e il suo debutto è stato celebrato da gran parte della critica come il libro più bello del 2005. Chi ha già letto Open e più recentemente Pieno giorno, non potrà dunque non riconoscere in questa opera prima lo stesso tocco.

Una struggente storia che non smette, pagina dopo pagina, di divertire e di commuovere. Un grande romanzo che insegna a non aver paura: «Non devo preoccuparmi di una cosa che non succederà».

 

(J.R. Moehringer, Il bar delle grandi speranze, trad. di Annalisa Carena, Piemme, 2007, pp. 486, euro11,50)

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