“Diecimila alberi” di Marco Pisciottani

di / 5 febbraio 2014

L’incursione nell’universo degli adolescenti, da una angolazione squisitamente narrativa, di solito si fa strada attraverso stereotipi ricorrenti, il più delle volte compendiabili in due schieramenti antitetici: da una parte se ne enfatizzano le sregolatezze, dall’altra la chiusura. La verità è nel mezzo, più complessa, celata tra le sfumature.

«Quale migliore test di quello dell’albero per tracciare la struttura psichica di una persona?». Il test richiamato nel romanzo d’esordio di Marco Pisciottani (Bordeaux edizioni, 2013), è il Baum Test, «ideato dallo psicologo tedesco Karl Koch nel 1949. Ispirato da Emil Jucker. Test reattivo proiettivo utilizzato per ottenere conoscenza psicologica globale del soggetto», partendo dal disegno di un albero.

All’analisi degli indici grafologici di diecimila alberi, il quarantenne Silvano Magnini, fondatore di una nuova e misteriosa dottrina (la «Deondrologia Multidisciplinare»), affida la speranza di dimostrarne la scientificità accademica fornendo il suo contributo «a una nuova comprensione della psicologia dell’adolescenza». L’adolescenza, trattata alla stregua di una malattia esantematica, «questo stadio della psiche umana nella quale sono leggermente più visibili gli archetipi, strutture profonde e invisibili dell’inconscio che normalmente solo nei pazzi mostrano pienamente la loro evidenza terribile».

La struttura del testo, diviso in tre parti, rimanda alla fisiologia di un albero – fronde, tronco e radici –, intessendo con prosa mirabile un’immersione struggente nell’ondata di emozioni che accompagnano la crescita, tra fantasmi e paure, gap generazionali, disordine cronico, senso di solitudine, di smarrimento, rabbia. «Quel disegno gli arrivò come un grido di ribellione, testimonianza di una guerra tra una giovane anima e il caos. Silvano era terrorizzato dalla scoperta che inseguiva da anni. Teneva il caos tra le mani: ma era pronto ad affrontarlo?»

Un percorso a ostacoli quello dipanato, autodistruttivo, fino al riscatto conclusivo.

Non mancano le citazioni colte, da Erich Neumann a C. G. Jung, passando per Anatole France, Giuseppe Ungaretti e perfino Muriel Barbery. La Barbery e la sua Paloma Josse (la dodicenne geniale e brillante protagonista del romanzo L’eleganza del riccio) «hanno l’onore di essere citate qui», scriverà in una pagina del suo diario Emanuele, che come Paloma, al cospetto di un albero prova «un misto strano né rimorso né rimpianto, solo nostalgia di un’assenza».

(Marco Pisciottani, Diecimila alberi, Bordeaux Edizioni, 2013, pp. 412, euro 16)

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