“Snowpiercer” di Bong Joon Ho

di / 25 febbraio 2014

Presentato fuori concorso all’ultima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, lasciando un segno deciso con il suo carico immaginario, Snowpiercer è il primo film internazionale del coreano Bong Joon Ho, già noto a critica e pubblico per The Host (2006) e Mother (2009).

In un futuro non troppo lontano – inizia tutto nel 2014 – la Terra è colpita e sconvolta da una nuova era glaciale che rende impossibile la vita sul pianeta. Ironia della sorte, o della scienza, dietro l’ondata di freddo c’è l’azione dell’uomo che, per fronteggiare il surriscaldamento ormai inarrestabile, ha disperso nell’aria il CW7, un refrigerante artificiale che ha esagerato il proprio effetto precipitando le temperature. Le poche migliaia di sopravvissuti dell’umanità vivono nel 2031 sullo Snowpiercer, un treno dalla locomotiva inarrestabile che percorre una tratta lungo tutto il globo senza mai fermarsi. Al suo interno, la società è divisa in classi: i poveri, in coda, i ricchi, in testa. Le risorse sono spartite con militaresco e matematico rigore. A ogni infrazione corrisponde una punizione. Gli ultimi sono lasciati nel caos e nella sporcizia, mentre più ci si avvicina alla locomotiva e maggiori sono i lussi e gli sprechi. Finché i poveri non si ribellano.

Ogni lotta tra uomini è lotta per la scarsità delle risorse, così in treno come in terra. L’umanità costretta in vagoni ripropone nei diciassette anni del suo viaggio i contrasti e la divisione sociale sulla base del prezzo pagato per il biglietto. L’élite del pianeta ha avuto, in sostanza, facoltà di mantenere se stessa e il proprio status pagando un prezzo più alto. Chi aveva poco si è dovuto accontentare di una sistemazione in condizioni subumane.

Va oltre la semplice fantascienza, Snowpiercer, la più grande produzione di tutti i tempi della Corea del Sud affidata alla regia di Bong Joon Ho e interpretata da un cast internazionale, con Chris Evans capo dei ribelli, John Hurt, Tilda Swinton (straordinaria), Ed Harris. Dietro la distopia dell’apocalisse di neve (la Morte bianca, come è chiamata nel fumetto francese da cui il film prende ispirazione) c’è una riflessione sulla società e sul concetto di ordine.

Rimanendo fedele allo scopo principale dell’intrattenimento e dello spettacolo, declinato in chiave oscura con i colori e le luci della fotografia di Hong Kyung-pyo e la scenografia spettacolare di Ondrei Nekvasil, Snowpiercer aggiorna la lotta di classe trasferendola dal mondo del lavoro all’equilibrio della società sopravvissuta sul treno. Il convoglio non è una semplice riproposizione in scala della vita sulla Terra, è un ecosistema in cui ogni elemento deve essere in equilibrio, per quanto esso possa essere feroce e spietato, e in cui le alterazioni non sono ammesse, pena il collasso dell’ordine. È il dogma di Wilford, il creatore dello Snowpiercer che dall’eremitico avamposto della sala di controllo gestisce le vite di tutti, capotreno e demiurgo unico contro l’ineluttabilità del gelo. C’è violenza e arbitrio nella sua gestione, ma è l’unico modo che possa garantire alla specie umana la sopravvivenza, al costo del sacrificio del singolo.

Quella che viene fuori da Snowpiercer è l’immagine di un’umanità feroce, sprovvista della solidarietà universale, ma ridotta al senso di appartenenza della classe, della condizione. L’homo homini lupus si trasferisce dal tutti contro tutti alla difesa della parte o, come nelle intenzioni di Wilford, del tutto.

Pur modificandone radicalmente la trama e gli sviluppi, Snowpiercer mantiene nella sua impostazione e nel suo immaginario l’impianto fumettistico, coniugato con un’estetica e un andamento per livelli-vagoni da videogioco. Il risultato è un susseguirsi di suggestioni potenti e incisive che coniugano, nel solco di una tradizione antica e internazionale, la fantascienza con il cinema d’autore.

 

(Snowpiercer, di Bong Joon Ho, 2013, fantascienza, 126’)

 

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