“Le ortensie” di Felisberto Hernández

di / 6 marzo 2014

Si prenda un collezionista di bambole alte poco più di quanto sono alti gli esseri umani, bambole dalle perfette fattezze femminili, per l’esattezza, bellissime e ammalianti, per di più, così prossime all’ideale che vogliono rappresentare da avere addirittura un liquido caldo (acqua nella fattispecie) a scorrer loro nelle vene. Si immagini che tale collezionista sia intento e molto compreso nel suo abituale passatempo, la messa in scena di vere e proprie rappresentazioni di gusto teatrale, immote eppure animate, di cui proprio le bambole sono protagoniste, simulacri statici di bellezza e femminilità, fissi nel capriccio del padrone. Si faccia poi costruire dall’abile artigiano creatore del prodigio ludico (talmente ludico da essere forse quanto di più lontano possa esserci dal gioco) una bambola speciale, Hortensia, dal profilo e dalle forme spiccicati a quelli di María, la moglie del collezionista inveterato, invero complice del marito e silenziosamente adattabile, almeno al principio, alle sue strambe manie. Si immagini allora il ménage che può nascere da questo bizzarro intreccio di relazioni tra esseri animati e non (ammesso che le bambole non abbiano l’anima), la trama di relazioni d’amore, d’acredine, d’odio e di spaesamento che può venirne fuori.

È questo, al netto delle semplificazioni necessarie nelle poche battute che ci sono concesse, lo scenario della nouvelle intitolata “Le ortensie”, primo degli otto racconti, nonché il principale, della raccolta di recente pubblicazione che porta il suo stesso nome: Le ortensie (La Nuova Frontiera, 2014), appunto, dell’uruguaiano Felisberto Hernández (1902-1964), autore qui da noi ancora poco conosciuto, apparso in traduzione per Einaudi con Nessuno accendeva le lampade nel ’72, poi smarritosi nella polvere del dimenticatoio e adesso, sulla scia dell’ecumenico interesse rivolto dalle nostre parti alle letterature ispanoamericane, ripescato dall’editore romano La Nuova Frontiera, che dei suoi pochi libri, nel 2012, aveva già pubblicato una nuova traduzione di Nessuno accendeva le lampade (libro del 1950), come questa a firma di Francesca Lazzarato.

E bene ha fatto, La Nuova Frontiera, perché le storie presenti nella raccolta, quella di cui sopra si è parlato su tutte, appartengono a un prezioso modo di fare narrativa, un raccontare ibrido che, pur facendosi forte di alcune strategie di sospensione proprie del fantastico, non ultimo il classico metodo del perturbante, sembra voler tenere ancora un piede nel reale, definendo però spazi minimi e lontani, in cui dettagli forse anche marginali, dati spaziali, scenografici, oppure caratteristiche caratteriali, psicologiche o d’inclinazione di personaggi smarriti, sembrano appartenere a un altrove che spesso risulta difficile identificare, nonostante Hernández ambienti i suoi racconti nelle nostre città, quelle che esistono pure sulla cartina geografica.

Si prenda per esempio il racconto “Il coccodrillo”, in cui un rappresentante di calze da donna riesce a piangere a comando al cospetto delle sue acquirenti, commuovendole e dando in tal modo una scossa sensazionale ai suoi affari, ma non riuscendo purtroppo più a smettere di versare lacrime.

Oppure si prenda “La casa allagata” altro racconto della raccolta, in cui un’eccentrica signora piuttosto corpulenta che decide di vivere in una casa letteralmente allagata, in cui i corridoi sono canali e le stanze stagni più o meno grandi, ingaggia uno scrittore per farle compagnia e per ascoltare quanto lei stessa ha da dire, da raccontare e da confidare, al chiuso del suo umido ambiente domestico.

Si tratta in sostanza di storie che lasciano un fertile senso di incredulità, quelle di Hernández, pur non rientrando nella categoria delle cose impossibili. Storie che sfumano in una scia diafana ben percepibile dal lettore, una scia che, per quanto trasparente, s’appoggia palpabile sul mondo come una coltre che rende tutto potenzialmente diverso, ai limiti dello smarrimento. E questa cosa, sia detto in conclusione, è forse uno dei compiti più attesi e maggiormente difficili da perseguire della bella letteratura, di quella davvero degna d’essere letta, quella a cui senz’altro appartengono i racconti di Hernández.

(Felisberto Hernández, Le ortensie, trad. di Francesca Lazzarato, La Nuova Frontiera, 2014, pp. 176, euro 17)    

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