“Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson

di / 8 aprile 2014

Gran Premio della giuria all’ultimo Festival di Berlino per Grand Budapest Hotel, ultimo lavoro del visionario Wes Anderson che trasferisce il suo stile fatto di simmetrie e colori nell’Europa degli anni trenta che si prepara all’avanzata del nazismo e della guerra.

A Zubrowka, un immaginario paese dell’Europa centro-orientale del giorno d’oggi, una bambina si reca in visita sulla tomba di uno scrittore. Lo omaggio con una chiave, come tanti prima di lei, poi si siede su una panchina a leggere il suo libro più famoso, Grand Budapest Hotel. Racconta la storia vera di quando, nel 1985, l’autore si era recato nel paese per curare una malattia polmonare e aveva soggiornato proprio nel Grand Budapest Hotel, un tempo crocevia della gran vita mitteleuropea, in quegli anni relegato a cadente albergo termale. Incontra così Zero Moustafa, il proprietario dell’hotel, che conosce la sua opera e lo invita a cena per raccontargli di come, cinquant’anni prima, fosse diventato, da semplice lobby boy, proprietario dell’albergo grazie all’amicizia con monsieur Gustave, concierge di spiccata eleganze, di fatto direttore dell’hotel, amico delle ricche signore in nome di una disinteressata gerontofilia. L’amicizia con Madame D. lascia a Gustave un quadro di rara bellezza, e senza valore, dopo la sua morte, che scatena l’ira rivendicatrice del figlio di lei.

A ispirare Wes Anderson, come di consueto anche sceneggiatore del film, è l’opera di Stefan Zweig, scrittore austriaco di enorme successo all’inizio del novecento, che vide la sua opera bruciata dai nazisti nel 1933 per la vocazione umanista e pacifista che permeava i suoi racconti e le sue biografie. Proprio rifacendosi alle memorie di Zweig, Anderson immagina una Mittleuropa sull’orlo del precipizio, ferma in un 1932 che aspetta la guerra (non si parla di nazismi, non si parla di nazioni, non c’è alcuna aderenza con il reale) cercando di mantenere la propria normalità. Senza parlare della storia, Grand Budapest Hotel la riassume e la mostra concentrando su Zubrowka tutte le alterne vicende dell’Europa orientale, rivendicata, occupata e umiliata dalla potenza di turno e rendendo Zero, nel cui nome c’è già un destino, la somma di tutti i razzismi del potere contro il diverso, l’immigrato.

Non c’è volontà di ricordare il dolore, ma al contrario di celebrare la normalità della vita nella difficoltà. Rifacendosi alle grandi commedie di Hollywood degli anni Quaranta e Cinquanta, e il richiamo al Lubitsch di Vogliamo vivere è evidente e poetico, Anderson comincia con l’adattare il formato della pellicola alla cosiddetta Academy ratio che caratterizzò il cinema statunitense dal 1932 al 1952, per confezionare una commedia che modernizza il passato con i colori e la computer grafica, immaginando un mondo in cui esiste la Società delle chiavi incrociate, ordine segreto di concierge pronti a intervenire per difendere loro stessi e il mondo, o in cui le ragazze hanno voglie con i contorni del Messico sulla guancia.

La forma ha sempre un ruolo preminente nel cinema di Anderson, che cura ogni ripresa con la solita attenzione alle simmetrie e all’ortogonalità, ma questa volta si spinge oltre le barriere del consueto arricchendo il suo cinema di momenti di azione e avventura con evasioni, sparatorie e inseguimenti sugli sci. A prevalere, però, sulla trama, che, come già in Moonrise Kingdom, vede un amore adolescente, quello tra lo Zero giovane di Tony Revolori e la pasticciera Agatha (Saoirse Ronan), come snodo centrale, e sulla forma, è il senso generale di nostalgia non solo per il grande cinema, ma anche per il gusto puro e semplice della narrazione – il triplo incastro di voci narrative su tre piani temporali diversi ne è la prova -, come modo per affrontare il reale parlando di tutto altro e allo stesso tempo evadendone, andando al di là.

Cast straordinario, con Ralph Fiennes magistrale Monsieur Gustave, ma vale la pena ricordare che ci sono anche Tom Wilkinson, Jude Law, F. Murray Abraham, Tilda Swinton, Jason Schwartzaman, Owen Wilson, Edward Norton, Jeff Goldblum, Léa Seydoux, Mathieu Almaric, Adrien Brody, Williamo Defoe, Harvey Keitel, Bill Murray.

(Grand Budapest Hotel, di Wes Anderson, 2014, commedia, 100’)

 

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