“Un’estate con Montaigne” di Antoine Compagnon

di / 11 giugno 2014

L’estate, con i ghiaccioli zuccherini che appiccicano le dita e con l’indolente ciabattare dei villeggianti, e la filosofia, fatta tendenzialmente di tediosi libroni e di commenti ancor più tediosi, sembra non siano affatto due elementi immediatamente conciliabili in un’unica idea di sintesi. Questo a prima vista, stando almeno a quanto leggiamo nelle prime battute del recente libro di Antoine Compagnon Un’estate con Montaigne (Adelphi, 2014). Eppure tale piccolo libricino, che racconta e discute in tono (molto) più colloquiale che accademico alcuni passaggi dei Saggi di Montaigne, è un testo che viene fuori proprio dal tentativo, per meglio dire dalla scommessa, di unire la filosofia con l’aria dolce della stagione bella, suggerendo che di certe cose, nonostante tutto, si può parlare pure a fine luglio, con i piedi a mollo nel mare o in una qualsiasi fontana cittadina.

È in tempi molto recenti che un certo Philippe Val, ex direttore dell’emittente radiofonica France Inter, oltralpe piuttosto importante, chiede ad Antoine Compagnon, docente di letteratura francese e comparata tra la Sorbonne, il Collège de France e la Columbia di New York, di tenere delle piccoli e brevi riflessioni estive dedicate all’illustre filosofo del Cinquecento. Compagnon accetta, sicché ne viene fuori una trasmissione inaspettata e un po’ bizzarra che frammenta l’opera di Montaigne, compendiandola (senza naturalmente voler essere esaustiva) in quaranta micro commenti. Sono per l’esattezza queste brevi riflessioni affidate all’etere, questi commenti radiofonici sui Saggi, a costituire il volumetto appena pubblicato nella Piccola Biblioteca di Adelphi.

Un’estate con Montaigne è un libretto assai utile (per chi naturalmente non conosce per bene Montaigne o non ne sa nulla) in cui si ragiona con piacevole leggerezza di alcuni degli elementi fondamentali del pensiero del filosofo francese. Si ragiona, per esempio, dell’importanza dello studio degli altri per la comprensione del sé, e si viene a conoscenza dell’immagine da buon selvaggio che il filosofo aveva degli abitanti di quello che a suo tempo era ancora il Nuovo Mondo. Oppure si ragiona in termini passeggeri delle inclinazioni ellenistiche attraverso cui è spesso stata letta l’opera di Montaigne. Si scopre inoltre anche la dimensione privata del filosofo, per esempio quando si testimonia della sua idiosincrasia verso i medici e la loro scienza, che l’autore dei Saggi non nasconde di disprezzare facendosi portatore di conclusioni talvolta un po’ irragionevoli e raffazzonate: «Per quanto ne so», si legge nei Saggi, «non esiste categoria di persone che si ammali tanto presto e guarisca tanto tardi quanto coloro che si trovano sotto la giurisdizione della medicina». Ci si imbatte, inoltre, nel tratto ironico di un pensiero assai moderno, nonostante, o forse grazie a, quest’ultima irragionevolezza.

Tutto ciò perché in fin dei conti bisognerebbe forse ammettere che la filosofia non sempre è questione cattedre e di aule, di cervelli che fumano e di polvere accumulata sugli scaffali dei secoli vecchi. La filosofia può anche essere oggetto di discussione agile e informale, ossia qualcosa di cui parlare, volendo pure non troppo seriamente, quando la tirannia della vacanza c’impone le necessità della leggerezza.

(Antoine Compagnon, Un’estate con Montaigne,  trad. di Giuseppe Girimonti Greco e Lorenza Di Lella, Adelphi, 2014, pp. 136, euro 12)

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