“Coincidenze”
di Tim Parks

di / 21 gennaio 2015

Il primo regalo che mio nonno fece a mio fratello fu un trenino delle Ferrovie dello Stato, appartenuto prima a mio padre, con tanto di locomotiva a vapore. Si trattava di un oggetto da collezione tanto straordinario agli occhi di un bambino di poco più di due anni quanto fragile per le sue mani inesperte e avventate. Inutile dire che fine fece la locomotiva. Eppure a distanza di più di trent’anni ancora ricordiamo quel pezzo di antiquariato familiare. La rete ferroviaria fu una delle prime opere poste in essere dal governo postunitario con l’intento di collegare le varie parti di un Paese fino ad allora diviso in tanti staterelli. Il treno, orgoglio nazionale, ha finito per assorbire e  rispecchiare così pregi e difetti del Bel Paese.

A farci un quadro, a volte amaro, a volte ironico e divertente dell’Italia a partire dai suoi treni è un inglese da quarant’anni trapiantato qui da noi, scrittore, giornalista, professore all’università IULM di Milano, Tim Parks: «Ho visto l’Italia per la prima volta dai finestrini di un treno. Era l’alba di una mattina d’estate del 1974». Coincidenze (Bompiani, 2014) è un viaggio lungo i binari dal Nord sino al tacco estremo del nostro stivale, proprio come dice il sottotitolo, fatto di “coincidenze” appunto, sia nel senso di incontri causali in quel privilegiato punto di osservazione e caleidoscopio di vari tipi umani che sono le stazioni e gli scompartimenti, sia nel senso ferroviario delle coincidenze fra un treno e l’altro per raggiungere località periferiche non collegate direttamente con le città principali, far coincidere, sincronizzare cose, luoghi e persone. Ne viene fuori uno spaccato, nel bene e forse più nel male, dell’italianità con tutte le sfumature che tale parola comporta.

Leggendo Coincidenze non nascondo di essere stata punta a volte da un certo fastidio nel dover spesso dare ragione allo scrittore inglese relativamente ad alcuni comportamenti tipici.

Come non essere d’accordo quando dipinge l’italiano onesto malato di innato vittimismo: «Cova un lento, torbido risentimento, come se chi ha rispettato le regole fosse cupamente contento di avere conferma che comportarsi da buoni cittadini è sempre inutile, una specie di martirio».

Oppure come non riconoscere alcune tipiche macchiette quando si imbatte nel controllore pignolo o nel passeggero furbo che cerca di aggirare ogni norma.

In tutti questi anni anche Parks si è dovuto suo malgrado inscaltrire perché «L’Italia non è un paese per principianti».

Lo vediamo nella sua vita da pendolare fra Verona e Milano barcamenarsi e lottare contro la burocrazia italiana con la sua «cultura di regole ambigue»: «Una delle caratteristiche chiave in Italia, che si rivela in ogni aspetto della vita di tutti i giorni, è la disinvoltura con la quale si considera la distanza fra ideale e reale. Travalica quella che noi grezzi anglosassoni chiamiamo ipocrisia. Semplicemente non coglie la contraddizione fra retorica e comportamento. Una forma mentis invidiabile».

Nei vari bar delle stazioni, luoghi di passaggio dove non c’è la necessità di fidelizzare il cliente, ha potuto constatare «l’ostilità verso l’uccello in migrazione […] uno dei più grandi ostacoli che lo straniero deve superare in Italia».

Ha viaggiato e viaggia per lo più in seconda classe dopo essere stato turlupinato da una bella ragazza che se ne è fregata dell’invito del controllore a spostarsi dalla prima alla sua carrozza di competenza: «La verità è che mi sono sempre considerato un passeggero di seconda classe […] ho deciso che per uno scrittore erano più interessanti le persone della seconda classe. Su quali basi si fondasse questa convinzione non lo so, forse era legata al tipo di romanzi che scrivevo».

Ha sperimentato tutta la vasta offerta di Trenitalia dai Regionali all’Intercity affollatissimo, sporco e chiassoso, al comodo e veloce Eurostar, per poi imbattersi, nel suo viaggio di piacere al Sud senza obblighi di orario, nelle carrozze storiche delle Ferrovie del Sud Est, «il presente che si camuffa da passato per sopravvivere al futuro».

Con una prosa dove la confortevole pacatezza del passo si sposa a un’azione piuttosto captante, Tim Parks non risparmia, oltre ad aneddoti divertenti, giudizi spietati sui costumi italiani. Il viaggio è stato anche l’occasione per fare un bilancio della sua scelta di vita: «Non so bene perché, ma il viaggio al Sud mi ha fatto ripensare a quella decisione. Trent’anni fa ho rinunciato alla mia identità, alla mia britannicità. Sono diventato questo strano ibrido, né qua né là. Fra un posto e l’altro, fra una cultura e l’altra. Riconosciuto ovunque come inglese ma non più davvero inglese».

(Tim Parks, Coincidenze. Sui binari da Milano a Palermo, trad. di Giovanna Granato, Bompiani, 2014, pp. 341, euro 19)

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