“Malefica luna d’agosto”
di Cristina Guarducci

Una favola nera che non fa paura

di / 8 aprile 2015

Una favola nera, se trasposta in tempi moderni, rivolta all’età adulta e ambientata in un paesaggio realistico, si trasforma per incanto o disincanto, in un romanzo gotico-noir.

Se spinta oltre i confini fatati e oltre la sfera dei desideri e delle paure infantili dentro lo spazio oscuro delle inquietudini e delle turbe degli adulti, si muta in un racconto in cui la psicanalisi fa dell’elemento fantastico, visionario, onirico, una proiezione del mondo interiore.

Allora, sciogliendo questo elementare sillogismo, possiamo affermare che Malefica luna d’agosto (Fazi, 2015) della psicanalista junghiana Cristina Guarducci è una favola a tinte fosche dove, attingendo a un originale bestiario sensuale, anche il mostro più ripugnante ha un suo fascino e una sua complessità psicologica e la natura umana è dipinta in tutte le sue contraddizioni.

Rivisitando in chiave fantastica i luoghi della sua infanzia, la Guarducci immagina che in una ridente località marittima della Maremma Toscana, ombreggiata da una pineta lussureggiante e afosa, viva una famiglia di antico lignaggio e dall’immensa ricchezza, i Guastaldi, segnata da una terribile tara: una sorta di maleficio dovuto a incroci fra consanguinei fa partorire primogeniti mostruosi e animaleschi.

La natura ha un ruolo importante nell’economia del racconto, è un personaggio essa stessa: si sente l’odore del mare, si avverte l’umidità della notte e la luce della luna.

L’intera vicenda si svolge durante tre giorni e tre notti di luna piena nel mese d’agosto di un anno imprecisato.

La storia è quella di una faida familiare per un’eredità contesa. Il peccato originale fu quello della moglie del conte Gherardo, ossia rimanere incinta nonostante la conoscenza della tara e il divieto del marito. Il suo parto gemellare rimarrà nascosto e prima di morire affiderà i suoi figli a dei poveri contadini alle dipendenze dei Guastaldi, consegnando di fatto l’intero patrimonio nelle mani di un mediocre ramo cadetto della famiglia.

Ma soprattutto quello che più interessa è il destino dei gemelli. Ugonotto riuscirà a riscattare la sua misera condizione sposando una bella e ricca fanciulla, donna Marisa, da cui avrà tre figli: Giuliano, dalla bellezza sbilenca e dalla forza brutale, vive rinchiuso in una stanza-bunker avvolto nel suo bestiale autismo; Daria, più virile del fratello; infine la Laurina, una Lolita che farà perdere la testa a un buttero fino ad allora donnaiolo incallito.

C’è poi la nonna, amante dei rotocalchi e chiaroveggente, crede che nel suo cagnolino Piermaria sia trasmigrata l’anima del marito prematuramente scomparso.

Di aspetto insignificante e ripugnante, Ugonotto è però dotato di una strana forza seduttiva: «Il Cavaliere aveva un’aura speciale che non era fatta di niente, né di intelligenza né di sensibilità, neanche di forza o di furbizia, era solo magnetico. Arrivava e le cicale si zittivano, andava sulla spiaggia e il mare si calmava accucciandosi ai suoi piedi. Di sera la moglie si metteva a letto, tutta unta di oli orientali e ricoperta di veli, e lui si addormentava dopo cinque minuti. Aveva un successo simile anche in società dove era considerato un gran personaggio e nessuno sapeva perché…».

La sua prolungata assenza non faceva che accrescere la devozione di donna Marisa che comunque non si negava amanti giocattolo. Finché un giorno dal cielo azzurro d’estate non atterra sulla villa dei Guastaldi l’odiato fratello gemello Gaddo. Non si tratta però di un qualunque distinto signore di mezza età ma di uno strano personaggio alato, un uomo-pipistrello, bellissimo agli occhi verdi fiammeggianti di Marisa ma spaventoso a quelli degli altri, reietto eppure affascinante.

Sotto lo sguardo misterioso e ammaliatore della luna, che sembra risvegliare tutti gli atavici istinti animaleschi, assistiamo a una delle scene erotiche letterarie più riuscite. L’amplesso tra Gaddo e Marisa avverrà in volo, sospeso fra cielo e terra, e inonderà l’universo intero di desiderio.

La scrittura scorrevole, elegante e resa accattivante da punte di ironia, della Guarducci è potenziata dall’uso di un punto di vista estraneo e esterno alle dinamiche familiari, anonimo e distaccato.

La voce narrante infatti è quella della migliore amica della secondogenita di Ugonotto. Tremebonda e patologicamente timida, è tiranneggiata da Daria, vera e propria comandante donna, mascolina e dotata di una esasperante sicumera, che nell’amicizia con quella figlia di piccolo borghesi preferisce alla mediazione la dittatura, al consenso democratico l’autorità indiscussa. Quelle come Daria decidono per sé e per gli altri, acquattati nelle retrovie della sudditanza. La sua apparente solidità e impermeabilità seduce la sua amica occultando il suo inappagato bisogno di attenzione e d’amore.

In fondo, se escludiamo deformità fisiche o mentali inverosimili, ci troviamo di fronte a una famiglia disfunzionale estremamente attuale in cui si annidano amore, odio e rancori.

Malefica luna d’agosto è una favola nera ma non fa paura. È però inquietante perché racconta le nostre paure. E le favole ci piacciono proprio perché parlano di qualcosa che ci tocca profondamente, ci parlano dell’animo umano.

(Cristina Guarducci, Malefica luna d’agosto, Fazi, 2015, pp. 192, euro 16)

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LA CRITICA

Il libro scorre, i personaggi che si affacciano hanno un lato misterioso che vorremmo scoprire, un fare naturale convincente anche se incantato in cornici spettacolari e fantastiche, costellato di segreti che si aprono come scatole cinesi.

VOTO

7/10

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